L’intrusa, Leonardo Di Costanzo presenta il suo film

Presentato all’ultima Quinzaine a Cannes. Una difficile storia d’integrazione e criminalità ambientata nel napoletano

Maria, la moglie di un camorrista, ha il volto di Valentina Vannino

L’intrusa è l’ultimo film diretto da Leonardo Di Costanzo. Presentato all’ultima Quinzaine allo scorso Festival di Cannes, il film racconta cosa succede quando una donna, la moglie di un camorrista, convive in una comunità che si batte per la legalità.

Leonardo Di Costanzo parla così del suo film, girato con attori non professionisti:

“Spero che lo spettatore riviva il dilemma di Giovanna e quindi immagini delle possibili soluzioni. Queste persone vivono quotidianamente queste dinamiche, ci sono delle persone che sperimentano modi di vivere, modi di vivere la comunità. Si trovano continuamente a situazioni del genere, esistono dei limiti che sono messi continuamente in discussione. Questi personaggi, per chi fa i racconti, sono ideali, sono porosi, non sono chiusi e interpretano la contemporaneità”.

Quello che colpisce, nel film di Leonardo Di Costanzo, è che non esiste nessun cattivo:

“Tutti hanno le proprie ragioni, qui il cattivo non c’è, a parte l’arrestato. Io condivido le ragioni di tutti, comprendo il preside, la moglie dell’assassinato, capisco le insegnanti. Nella vita in generale è spesso molto difficile riuscire a capire chi ha ragione e chi ha torto. Questi universi sono molto interessanti da raccontare”.

Il personaggio principale è Giovanna, la donna che gestisce un centro di accoglienza, e in una scena affronta l’Intrusa, la donna del camorrista Maria. L’intrusa è anche il ritratto del tormento di due donne:

“Maria si trova in una condizione esistenziale e psicologica di estrema debolezza. Il fuoricampo, quell che non sappiamo, è che Maria è stata presa da giovane, da questo raid del quartiere e ha vissuto alla sua ombra per qualche anno. Quando il marito viene arrestato si trova di fronte alle proprie responsabilità, si chiede chi sia lei e dove stia andando. Si nasconde dentro la comunità e vuole cercare di capire cosa fare, è come un animale ferito, lo si cerca di accarezzare e riceviamo in cambio un morso o un graffio. Paradossalmente è più facile riconoscere l’autorità dell’altro, queste persone però non sanno chiedere. Giovanna è l’unica che capisce questa situazione, capisce che dietro il ritorno di Maria si nasconde una richiesta d’aiuto”.

Giovanna è una donna profondamente sola ed è forse l’unica a “comprendere” l’intrusa Maria:

“Gli altri, il preside e le mamme, rigettano Maria, difendono le proprie scelte di vita, vorrebbero farglielo pagare perché ha deciso di fare la signora da giovane e adesso, che è in uno stato di debolezza, chiede aiuto senza chiedere. C’è un atteggiamento cattivo nei confronti del gruppo”.

Giovanna ha il volto della coreografa Raffaella Giordano:

“Sin da subito Giovanna è stato per me un personaggio fermo, distante perché il rischio di raccontare il mondo dei buoni è cadere nel melenso. Anche scrivendo il film era molto più facile raccontare Maria, ma a me interessava raccontare i buoni senza essere melenso. Ho fatto questa scelta, spero riuscita, volevo creare un personaggio distante. Durante le proiezioni, uno capisce le sue scelte. A Milano mi ha detto uno spettatore: ‘Lavoro nelle carceri, spesso devo stare continuamente a regolare il mio comportamento, parlando in italiano. Devo mantenere una giusta distanza’. Devono starci dentro, ma mantenere le distanze”.

I protagonisti non sono professionisti, questo ha creato dei problemi sul set?

“Come spesso succede, io lavoro molto prima delle riprese. C’è un lavoro fatto con gli attori prima di andare sul set. Raffaella, seppur venga dal mondo dello spettacolo, non ha nulla a che fare con la parola. Lei non voleva recitare, aveva problemi di memoria, ogni volta che cambiavo la battuta lei doveva cambiare il gesto usato per memorizzarla. Nella prima fase c’era la sceneggiatura scritta, molto parlata, poi ho deciso che tutti gli elementi della tragedia fossero ben definiti. Il preside, la mamma, le donne, ognuno di loro aveva molto dialogo. Questa parte è stata asciugata e il racconto è rimasto essenziale”.

L’Intrusa rimane un film “molto scritto”, ma alle riprese viene lasciato un po’ d’improvvisazione:

“In una scena, Rita, la bambina, aveva interiorizzato il suo personaggio. Quando viene introdotta ai bambini, lei decide di non dare la mano a Ciro. Questo non l’avevo previsto, l’ha fatto lei e andava benissimo. È un’improvvisazione incatenata, Rita ha capito il personaggio. È quello che succede in teatro”.

L’Intrusa pur parlando di camorra, non è un film sulla camorra:

“Era necessario che per nessun personaggio prendessi posizione. Giovanna resta quello principale, comunico molto la sua posizione, ma condivido questa posizione”.

Il film segue comunque la linea degli altri film di De Costanzo, già visto in L’Intervallo, il regista è interessato molto alle fasce più giovani, inserite anche nella stessa città di Napoli:

“Penso sia vero per i miei precedenti film Cadenza d’inganno e L’Intervallo, nel primo filmo i bambini senza metterli in una trama. Nell’Intervallo, i personaggi sono chiusi in uno spazio lontano dalla città, non volevo che la città influenzasse la visione. L’attenzione in L’intrusa è sugli adulti, sono oggetti del dramma. Credo che erano protagonisti in L’intervallo, qui bisognava stare attenti. Filmare i buoni è complicato. La sceneggiatura virava sul cattivo o sui bambini, ho dovuto difendere il film, volevo farlo sugli eroi della contemporaneità”.

L’Intrusa, per il regista, è un film senza eroi e colpevoli:

“La realtà non ha soluzione, è legittimo che i genitori si preoccupino, che Maria cerchi di recuperare una dignità e una vita normale. Non ci sono soluzioni a questa realtà, bisogna capire se riescono a trovarle anche nelle sconfitte”.

L’Intrusa vi aspetta al cinema da oggi 28 settembre.

 

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