Metro C, scoperto acquedotto del III Secolo a.C.

Una scoperta eccezionale che verrà presentata alla Sapienza. Già pronti i lavori per poterlo esporre al pubblico

Edoardo Sassi per Il Corriere della Sera Roma

 

Nel cuore della città, in piazza Celimontana, nell’area di cantiere che si trova proprio di fronte all’Ospedale militare del Celio. Qui — a quasi venti metri di profondità e dove di norma è impossibile scavare, e studiare, in sicurezza — ecco quella che gli archeologi definiscono «una scoperta clamorosa, di enorme importanza, perché si tratta, quasi certamente, del più antico Acquedotto romano, risalente al terzo secolo avanti Cristo». Una scoperta resa nota ieri, ma avvenuta negli ultimi mesi del 2016: «I resti — conferma Simona Morretta, funzionario archeologo responsabile dell’area Celio per la Soprintendenza di Stato — sono emersi durante i lavori della Metro C, scavo iniziato più di due anni fa, per un pozzo di aerazione del diametro di circa 32 metri e che coinvolge una superfice di circa 800 metri quadri».

 

Tutti i dettagli della scoperta, che qui si anticipano, saranno illustrati domani in un convegno alla Sapienza, durante il quale Morretta e Paola Palazzo, che ha diretto lo scavo con la cooperativa «Archeologia», illustreranno alla comunità scientifica la loro relazione intitolata “Un tratto di acquedotto repubblicano rinvenuto negli scavi Metro C di piazza Celimonana”. «Solo grazie alle paratie di cemento per i lavori della metro — spiega Morretta — siamo potuti scendere a quel livello, studiando per la prima volta tutta insieme l’intera stratigrafla di Roma, cioè partendo dalle case attuali e arrivando giù giù fino a una tomba con corredo funerario, due ciotole, risalente all’Età del Ferro, fine X-inizi IX secolo avanti Cristo».

 

Anche questa tomba, ritrovata per l’esattezza a diciotto metri di profondità dall’attuale piano di calpestio, è una novità per l’area del Celio: «Roma d’altronde si sa, si è sempre costruita su se stessa, strato su strato, utilizzando spesso il precedente come fondazione…». Dunque una tomba di tremila anni fa, ma soprattutto l’Acquedotto: «Emerso al metro 17.40, un tratto lungo quanto l’intero diametro del pozzo, 32 metri, e alto circa due, composto da blocchi di tufo grigio, il cosiddetto cappellaccio. Sicuramente continua, a est e a ovest, ben oltre le paratie…».

 

L’opera ora è stata smontata blocco per blocco per un tratto di dieci metri circa, catalogata, «stoccata» in superficie e si pensa di rimontarla altrove perché anche il pubblico possa vederla: «A venti metri di profondità non era e non è possibile fare valorizzazione, per cui si punta a un rimontaggio futuro. Va detto comunque che scoperte del genere sono possibili unicamente grazie ai lavori della metro, a quelle profondità di solito non si scende, e questo è stato permesso solo grazie alle paratie, per noi studiosi un’opportunità straordinaria». Una struttura seriale, l’Acquedotto, comunque in grado di dare informazioni: tante, precise e inedite. «Ancora non ne conosciamo lo sviluppo in proiezione, ovvero da dove provenisse e dove andasse a finire. La fonte in questi casi è, come sempre, Frontino, autore di un noto trattato sugli acquedotti di Roma, la sua opera più importante, del 102 dopo Cristo. Lui li descrive tutti, ed è da Frontino che sappiamo che alcuni acquedotti passavano dal Celio. Nulla però era stato mai ritrovato. Inoltre, dalla datazione dei materiali rinvenuti, il nostro risulta essere di poco prima della metà del Terzo secolo, media Età repubblicana, dunque circa duemila e trecento anni fa. A quale Acquedotto appartenga il nostro tratto? Non lo sappiamo ancora. L’Anio Vetus, dall’Aniene, è datato 272 avanti Cristo. Come periodo ci saremmo. Ma Frontino dice che l’Anio Vetus non passava dal Celio, anche se la datazione ci riporterebbe lì. Dunque è più probabile si tratti dell’Aqua Appia, il primo Acquedotto costruito a Roma. Per questa opera ritrovata, davvero imponente, dobbiamo ipotizzare una costruzione durata decenni, per cui ecco che come datazione ci potremmo stare. E poi si sa che l’Aqua Appia era profondissimo, come profondissimo è questo ritrovato».

 

Un’opera, inoltre, rinvenuta completamente interrata: «E proprio gli intatti strati di interro — conclude Morretta — ci hanno fornito la data di abbandono dell’utilizzo, nella primissima età imperiale. Poi l’acquedotto fu usato come fogna in età tardo antica. Altra curiosità, negli strati sono stati ritrovati avanzi consistenti di pasti, materia di studio eccezionale per l’archeo-zoologo. Ho appena ricevuto la sua relazione, davvero interessante. E ora sappiamo esattamente cosa mangiavano i romani aristocratici con le grandi ville nei dintorni. Nelle fogne è stato trovato di tutto, avanzi di mammiferi domestici, parti di cinghiali, moltissima avifauna rara, cibi esotici. Non solo polli, galli o capponi, ma anche cigni e fagiani, oltre a enormi pesci pescabili al largo, come la cernia bruna».

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