Palazzo Bonaparte: le opere di Jago, il moderno Michelangelo amato dai giovani – FOTOGALLERY

A Roma la prima mostra antologica delle opere realizzate dall’artista contemporaneo Jago, il "Social Artist", che unisce alla bravura tecnica la divulgazione della sua arte anche tra i giovani

Jago "Excalibur"

Fino al 3 luglio sarà possibile ammirare nelle sale di Palazzo Bonaparte le opere di Jago riunite insieme per la prima volta. Opere in marmo bianco proveniente da diverse località attentamente scelto da Jago per le sue creazioni, dove l’abilità tecnica dell’incisione si unisce alla forte espressività e alla volontà di trasmettere un messaggio.

Un materiale e una tecnica antiche riviste in una luce moderna, attuale e soprattutto aperta all’attento e critico sguardo delle nuove generazioni, che seguono e ammirano questo giovane artista. Proprio la capacità comunicativa di Jago, pseudonimo di Jacopo Carillo, e la sua conoscenza dei nuovi mezzi di comunicazione sono evidenti nell’uso dei social e delle dirette streaming con ricca documentazione di foto e video per mostrare al mondo il suo processo creativo. Una condivisione che avvicina il pubblico alla sua Arte.

Il messaggio e i sentimenti che emanano le sue opere non sono mai superficiali e scontati, se pur immediati e facilmente intuibili, ci assorbono, perché parte del sentire condiviso. La sua bravura tecnica non diviene mai puro formalismo o ricerca ossessiva della perfezione, ma abile capacità di trasformare in marmo un’idea e di rendere i corpi vivi. Così la ruvidezza delle superficie ribadisce il sentimento contemporaneo dell’inevitabile trascorrere del tempo.

“Jago percepisce l’energia che è nel blocco di marmo, come un fluido creativo. La sua arte non dimentica il passato, ma lo vive nella contemporaneità con una simbologia semplice, ma carica di significati. Non è mai autoreferenziale”, afferma Maria Teresa Benedetti, curatrice della mostra e sua estimatrice.

Colpiscono subito nella prima sala le opere La pelle dentro, Sphynx e Memoria di se, per non parlare di Excalibur, rappresentata non più da una spada, ma da un kalasnikov, vistoso strumento di violenza, lontano dall’antico valore cavalleresco.

Abbiamo la nudità nella sua umanità del pontefice emerito in Habemus Hominem, come la rappresentazione di un Venere pudica, che nelle forme ricorda la classicità, ma ormai priva della sua giovinezza e della bellezza ideale, ci fa riflettere sulla trasformazione del nostro corpo. E gli specchi nella stanza che moltiplicano l’immagine all’infinito sembrano quasi risuonare nella nostra mente.

Profondo è il dolore espresso nell’opera Pietà, che ora in sembianze maschili di padre sorregge il figlio esamine tra le forti braccia che nulla hanno potuto fare per salvarlo. Come sfondo dalle finestre della sala espositiva, si scorge l’Altare della Patria che ci ricorda il dolore delle guerre, che purtroppo ancora oggi continuano.

Nella sala accanto il Figlio velato, esposto permanentemente nella Cappella dei Bianchi nella chiesa di San Severo Fuori le Mura a Napoli, ispirato al settecentesco Cristo velato di Giuseppe Sanmartino, è icona simbolica delle tragedie e delle sofferenze.

È esposta anche l’opera The First Baby, la prima opera d’arte ad essere andata nello spazio in occasione della missione Beyond dell’ESA sotto la custodia del capo della missione, Luca Parmitano.

Vittorio Sgarbi che selezionò Jago per partecipare nel 2009 alla 54° edizione della Biennale di Venezia, dice di lui: “Jago esiste perché esiste la sua opera il suo modo di comunicare che non si limita alla sola cosa scolpita, ma lo estende allo scolpire come atto di primaria, vitalistica dimensione per metterlo in relazione con tutto ciò che può essere correlato ad esso. Jago ha saputo unire l’immaterialità della comunicazione alla concretezza del marmo delle sue opere”.

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