Petit Paysan, il piccolo capolavoro di Hubert Charuel al cinema

La storia di un “eroe singolare”, come recita il sottotitolo del film in sala dal 22 marzo con Nomad. Il regista l’ha presentato a Roma

Petit Paysan è la storia di un eroe singolare, un allevatore che lotta per salvare la sua mandria. Hubert Charuel ha presentato il suo primo film in uscita il 22 marzo al cinema

Petit Paysan è l’opera prima di Hubert Charuel ed è un piccolo capolavoro: in sala il 22 marzo, racconta la vita di un giovane allevatore che scopre che una malattia ha colpito il suo bestiame, un “eroe singolare” come recita il sottotitolo del film. Il giovane regista l’ha presentato a Roma.

Pierre che ha 35 anni e ha fatto solo questo nella sua vita si ritrova di fronte a un dubbio: rispettare la legge e uccidere tutto il suo bestiame o nascondere tutto per continuare a lavorare e a vivere. Quella descritta nel suo primo film, è una realtà che Hubert Charuel conosce bene: la madre è un’ex allevatrice.

“Sono figlio di agricoltori e tutto il film è girato nella loro fattoria che non è più in attività. Durante gli anni della malattia della mucca pazza veniva richiesto agli allevatori di uccidere tutta la mandria per precauzione, per evitare la diffusione della malattia. Mia madre lavorava all’epoca e anche lei amava le sue mucche e guardando un telegiornale, mi ricordo una frase che disse: se succede a me, mi suicido. Questa frase mi ha traumatizzato ed è il punto di partenza del film”, ha raccontato il giovane regista al suo primo lungometraggio.

L’allevatore in Petit Paysan ha il volto e il corpo di Swann Arlaud, un attore che ha un background completamente diverso rispetto a quello del regista eppure riesce a incarnare perfettamente la quotidianità di un lavoro “che ti definisce”:

Swann è il figlio di una direttrice di casting e di un decoratore e suo suocero è Bruno Nuytten che ha diretto Camille Claudel. Ha passato alcuni casting e ci siamo capiti tutti, sapevo che il ruolo di Pierre doveva passare per il corpo e i gesti, se questi non mi avessero convinto. Ha passato tre settimane nell’allevamento di alcuni miei cugini e le prove sono andate così bene che gli hanno chiesto di restare!”.

In Petit Paysan, recitano anche la madre, il padre e il nonno del regista:

“Esattamente, alla fine è un film che parla di famiglia e io sono una rottura della trasmissione del lavoro, io non ho seguito il loro esempio. Mia mamma è l’ispettrice del Ministero, mio padre ha il ruolo del papà di Pierre e c’è anche mio nonno che è il vicino di casa che scoccia Pierre”.

Il film è ambientato nella Francia di oggi e descrive un agricoltore che si trova a dover rispondere a un’urgenza sanitaria, alla quale l’Europa fatica a rispondere:

“Non è che l’Europa non aiuti, esiste la PAC ma va riformata. Tutto è complicato, la PAC non incoraggia a diventare agricoltori. Le persone che fanno questo lavoro non vogliono le sovvenzioni. Viviamo anche in una società che vuole produrre di più, ma a costo più basso, penso gli agricoltori si rendano conto di tutto e che siano divisi fra la passione per il loro lavoro e la paura di non farcela”.

Petit Paysan è un film particolare per il giovane regista che aveva il destino già segnato, come il protagonista Pierre, a seguire le orme paterne:

“Storicamente il lavoro si trasmetteva di padre in figlio. Parlo di questo perché penso di aver fatto il film per sopperire il mio senso di colpa: sono figlio unico dunque potevo solo io continuare il lavoro dei miei genitori. Penso di aver realizzato questo film per sbarazzarmene”.

Pascale, la sorella del protagonista, interpretata da Sara Giraudeau, denuncia che il mondo dell’agricoltura è al maschile:

“Ci sono delle donne nel mondo agricolo, inizialmente si pensava che fosse un lavoro da uomini. È qualcosa che è successo a mia madre: ha due fratelli, ma è stata lei a riprendere la fattoria, dimostrando a sua madre di essere all’altezza ed è finita per essere la migliore del suo dipartimento”.

Petit Paysan è un ritratto profondamente reale della vita di un allevatore e non risparmia nulla neanche le scene in cui le mucche vengono uccise. Il regista non l’ha fatto per “inimicarsi” i vegani:

“Assolutamente no, penso che Pierre ami profondamente i suoi animali, io li amo, ho lavorato con loro, ma comunque mangio la carne. Mia madre li amava, ma aveva la forza di mandarli comunque al mattatoio, lo stesso Pierre ha il coraggio di uccidere un animale che ama così tanto. È un po’ come l’amour fou, ho delle difficoltà a capirlo, è una forma curiosa d’amare, mia madre era triste quando succedeva: è una questione di produzione e redditività. Se non si inviano le mucche meno produttive al mattatoio, l’agricoltore non sopravvive”.

Curiosamente nel film manca la scritta nei titoli di coda: nessun animale è stato maltrattato durante la realizzazione di questo film, il regista ha spiegato che è legato alla presentazione di Petit Paysan alla 56esima Semaine de la Critique: “No comment! Non avevo finito il montaggio del film e ho dimenticato di inserirla!

Petit Paysan è stato un set difficile per esordire al cinema, esordio diviso con 30 mucche:

“Bisogna avere molta pazienza e conoscere la loro psicologia, mi ha aiutato aver già lavorato con loro. Penso che se non fossi stato un figlio di allevatori la lavorazione sarebbe stata un inferno! Abbiamo molto lavorato prima di girare: prima le mucche, poi l’attore e il resto della troupe. Le sequenze con le mucche malate, a fine film, dovevamo organizzare una cena e ne abbiamo approfittato per abbatterle”.

In ogni caso, le mucche sono state trattate bene durante le riprese:

“Abbiamo lavorato rispettandole con due veterinari, tecnici, esperti di dressage e mia madre, era molto importante per me”.

Pierre, come recita il sottotitolo del film, è un eroe dei nostri tempi, leale nei confronti del suo lavoro e delle sue 30 mucche:

“Il film è una storia d’amore per gli animali e la famiglia. Parlando a un liceo di allevamento, ho scoperto che l’effetto considerato più negativo è deludere la propria famiglia. Non è un lavoro che si fa per i soldi, sono eroi si svegliano tutte le mattine e lavorano 365 giorni all’anno per nutrire gli altri”.

Hubert Charuel ha anche parlato degli indennizzi che sono stati una sorta di effetto placebo per gli allevatori che avevano perso tutto il loro bestiame:

“È molto lunga, ci sono quattro casi, il primo: gli indennizzi non sono mai arrivati. Il secondo: i soldi arrivano dopo anni e come succede a Jamy nel film, gli agricoltori hanno debiti e devono risponderne del bilancio. Nel terzo caso, i soldi arrivano anche presto, ma è complicato ricreare una mandria da zero, ci vogliono anni per crearne una e usare mucche giovani comporta cali di produzione. L’ultimo caso è che chi riprende a lavorare vive con la paura”.

Petit Paysan è un ritratto realista, girato a tratti come se fosse un thriller:

“Ho mischiato una serie di generi: fantastico, commedia, thriller, dramma. Con la mia cosceneggiatrice, non abbiamo parlato di morte di mucche, ma di omicidi. C’era un aspetto che ci faceva sorridere: sbarazzarsi di un cadavere è difficile, ma come si fa con una mucca di 700 chili!”.

Un film che è stato difficile da produrre per il giovane regista:

“Alcuni produttori mi dicevano: ci piace l’agricoltura, ma le mucche non sono sexy…Swann lo è! Poi abbiamo incontrato dei produttori che ci hanno detto: se è un buon film, troviamo i soldi. Abbiamo lavorato sulla scrittura, ci abbiamo messo tre anni a scriverlo e otto mesi per produrlo. Ognuno di noi ha un parente che è agricoltore e in Francia c’è un programma di grandissimo successo: L’Amour Est Dans Le Pré (in Italia, Il Contadino cerca moglie, ndr) vista da 12 milioni di telespettatori e ci siamo detti: interessa!”.

Premiato da tre César, gli Oscar francesi (per migliore opera prima, attore protagonista e attrice non protagonista), Petit Paysan ha avuto anche il placet di un’associazione animalista francese, L214, e il regista giura che i vegani che l’hanno visto hanno ripreso a mangiare carne:

“E con piacere! Non c’è stata nessuna reazione anche perché non si può bloccare l’industria, io non sono vegano, ma si consuma sempre di meno carne. Anche perché questo genere di allevamento danneggia il nostro ambiente e perché i medici ci hanno detto di mangiare meno carne. Nella mia famiglia, per esempio, si uccideva una mucca all’anno, il mio problema sono le migliaia di mucche mandate al macello”.

Hubert Charuel è scappato al suo destino, quello di diventare un paysan, un agricoltore e per anni ha rinnegato il suo passato:

“Quando sono arrivato alla Fémis (una scuola di cinema francese, ndr) avevo nascosto le mie origini e soffrivo di una sorta di complesso dell’agricoltore, perché pensavo che le persone pensassero che fossi stupido. E anche il termine paysan per secoli è stato usato come un insulto, ma oggi non lo è più”.

La sensibilità, la dolcezza, la bellezza della vita semplice di un piccolo agricoltore vi conquisterà: Petit Paysan arriva in sala il 22 marzo, distribuito da Nomad Entertainment.

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