Roma: A Palazzo Merulana il silenzio magico di Antonio Donghi incanta il pubblico

L’esposizione di 34 opere di uno dei più importanti esponenti del realismo magico presentate per la prima volta insieme nella sede della Fondazione Elena e Claudio Cerasi fino al 26 maggio.

Questa mostra ci offre l’occasione di conoscere meglio e comprendere da vicino un pittore forse ancora poco conosciuto dal grande pubblico che riesce a incantare e a catturare l’attenzione con la sua tecnica ed enigmatica espressività.  

I trentaquattro dipinti esposti, che rappresentano l’intero percorso dell’artista e ci mostrano la fase del cambiamento pittorico di Antonio Donghi negli anni tra il 1922-23 verso quell’arte pittorica definita dai critici Realismo magico, provengono dalla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma, dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, dalla Banca d’Italia, dalla UniCredit Art Collection e dalla Fondazione Elena e Claudio Cerasi, che possiede ed espone in permanenza proprio a Palazzo Merulana tre fondamentali capolavori donghiani: Le lavandaie (1922-23); Gita in barca (1934); Piccoli saltimbanchi (1938).

La sua arte viene definita una “narrazione gentile” fatta di paesaggi, che però non sono veramente realistici, ambientazioni interne e all’aperto con personaggi umili e borghesi, che dietro la loro apparente compostezza ci rivelano la loro anima. 

“Donghi scuote la tradizionalità scegliendo dei tagli che sono fotografici e cinematografici, divenendo molto moderni. – spiega Fabio Benzi, curatore della mostra – Egli rappresenta i suoi personaggi e l’ambiente come se fossero un’immagine platonica di attesa. Il suo è un realismo senza naturalismo, dove anche la natura diviene un’idea astratta.”

Nei dipinti sia con protagonisti le giovani donne o uomini eleganti, come Ritratto di madre e figlia (1942) e Ritratto di Lauro de Bosis (1924), sia con altre figure affaticate nelle varie mansioni domestiche, come Le lavandaie (1922) e La pollarola (1925) o bambini, come i bellissimi circensi in Piccoli saltimbanchi (1938) e Il Giocoliere (1936), all’apparente semplicità del disegno in una precisa linearità, attenzione ai dettagli, non più realistici, e una nitidezza che lasciano stupefatti, si aggiunge l’espressività dei personaggi, apparentemente fermi, ma in realtà in trepidante attesa. Si parla per Donghi di “sospensione affettiva”, l’attesa e la solitudine che probabilmente lui stesso provò da bambino quando i genitori si separarono e lo lascarono in collegio. Nei suoi dipinti non viene rappresentata un’azione fermata nell’attimo fuggente, fatta di corpi in movimento, ma la sospensione del tempo, una pausa che presto finirà e che lascia con il fiato sospeso. In una ieraticità senza tempo e quasi senza volumi e ombre, Donghi, come ha approfondito Fabio Benzi, sembra guardare al passato rinascimentale e ai grandi maestri come Piero della Francesca, il Bronzino fino a Raffaello, ma nella modernità con influenze del cinema impressionista.

Per Donghi fondamentale fu la partecipazione nel dicembre del 1924 all’esposizione presso la Galleria Pesaro di Milano insieme ad importanti artisti come de Chirico, Casorati, Guidi, Oppi, Tozzi e Trombadori, dove già risulta ben definita la sua tendenza artistica che più tardi il critico d’arte tedesco Franz Roh definì “Realismo magico”. È da queste conoscenze che secondo Benzi avvenne il vero cambiamento del pittore: “Le opere di Oppi, con i personaggi immobilizzati in un’atmosfera senz’aria, i paesaggi costruiti da edifici geometrici sovrapposti nella loro volumetria come negli affreschi giotteschi, il disegno nitido e affilato, le espressioni interrogative e penetranti, l’aria di realismo magico al limite della “Nuova Oggettività” tedesca devono essere state il vero precedente saliente e l’ispirazione scatenante per Donghi. Ma la folgorazione di Donghi non fu passiva. Al glamour rarefatto di Oppi, egli preferì una popolarità nostrana, quasi romanesca, che spogliava la figurazione dai preziosismi e la adattava a pollarole, lavandaie, donne del popolo, cacciatori e teatranti dell’avanspettacolo”.

 

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