Roma/aziende: riaperte 2 su 3, periferie ok, Centro Storico ko

Ancora lontano da una vera ripartenza il commercio. Bene Centocelle e Appio-Tuscololano dove le imprese hanno saputo riconvertirsi. Malissimo il centro

 

 

Con la fine del lockdown abbiamo voluto fare una “passeggiata esplorativa” in alcuni quartieri di Roma. Incredibile ma vero: le periferie sono ripartite molto meglio del penalizzato e abbandonato Centro Storico, che, anche per chi ci vive e lavora è tristezza pura

L’Appio-Tuscolano e Centocelle si ritrovano con più imprese (negozi in testa in attività del passato). Garbatella e Tor Bella, invece, scontano rispettivamente la debolezza della filiera che si muove intorno all’aeroporto di Ciampino e alle università.

Il Centro storico è quasi un deserto: complice l’assenza dei turisti, degli addetti di rappresentanza e dei romani che gravitano nella zona, c’è un dramma di serrande abbassate, che dà la misura della crisi del salotto della capitale. Qualche brand aspetta tempi migliori e la diminuzione della paura generale.

A Roma, nella Fase 2, sono ripartite in media due aziende su tre. Una percentuale, invece, che non raggiunge il 60% tra il Tridente e le zone limitrofe.

A dare questo quadro è un report del Comune, riportato da ‘’Il Messaggero’’, che ha incrociato il numero delle imprese esistenti nella Fase preCovid (parliamo di negozi, botteghe artigiane, fabbriche, ditte di servizi), quelle i cui codici Ateco sono state sbloccate dagli ultimi Dpcm e quelle che davvero sono ripartite.

E, usando un’immagine del presidente della Camera di Commercio, Lorenzo Tagliavanti, il risultato è che «a Roma la periferia si è spostata nel Centro» (o viceversa ndr). Di fatto nella Capitale, su 285mila imprese prese in considerazione, sono attive oltre 210mila. Cioè due terzi del totale. Nella fase 1, erano soltanto una su quattro.

Riguardo ai settori, sembrano lontani da una vera ripartenza il commercio (soprattutto al dettaglio) che vede almeno il 40% imprese ancora chiuse, il comparto che somma alberghi e ristorazione con tutta la loro filiera (soltanto il 16% è attivo) e le realtà dell’agricoltura o quelle legate all’attività sportiva, lo spettacolo e cultura. Queste ultime, le sole nella lista, a non poter riprendere ancora, come prevedono le regole del governo.

Si sta così ampliando il divario tra le due parti della città.

Nel I Municipio il livello di attività del commercio è del 53,4%, 6mila realtà riaperte contro le quasi 11.500. Nel vicino II municipio, in un’area molto residenziale come quella tra Salario e Trieste, la percentuale sale al 67,3. Secondo l’economista Rosario Cerra, presidente del Centro Economia Digitale, «il Centro paga la sua funzione di rappresentanza, dove non c’è più produzione, compresa quella immateriale, e ristoranti, alberghi e boutique sono di alta gamma.

Centocelle e Casalino, Tuscolano e Appio: queste zone della città si ritrovano in fase 2 con maggiore volume di business, perché molti piccoli imprenditori locali si sono “riconvertiti” verso le produzioni e i servizi che maggiormente il mercato chiede per affrontare la crisi generata dall’epidemia. Come le sartorie che realizzano mascherine e le imprese di pulizia che si sono aperte alle sanificazioni, i laboratori chimici che sintetizzano molecole per gli igienizzanti.

Lontano dal Centro storico, vanno invece male le cose con meno della metà degli esercizi ripartiti – tra la Garbatella e l’Ostiense, con le loro imprese di servizi legate alla logistica (come il non lontano aeroporto di Ciampino) o tra Tor Vergata e il versante del Policlinico.

Boom invece di nuove realtà tra Centocelle, l’Appio, ü Tuscolano e l’Eur: nell’ultimo anno sono sorte start up innovative e locali che hanno spostato bioritmi e direttrici della movida.

Nelle altre parti della periferia, invece, le ripartenze superano il 70 per cento. Sempre dallo studio si evince che la Fase 2 dovrebbe a riportare a lavoro – se le cose andranno come devono -1,80 per cento dei 900mila addetti.

Nota Stefano Di Niola, alla testa della Cna capitolina: «Intanto c’è un 30 per cento di dipendenti che non è ancora rientrato al proprio posto. Tra Roma e Lazio, poi, soltanto il 40 per cento ha già ottenuto la cassa integrazione in deroga. È a rischio la tenuta sociale».

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