Antenne selvagge a Roma, ce ne sono 1 milione 700 mila

La metà é fuori uso, ma non è stata ancora rimossa dai tetti. Il flop nonostante gli incentivi. E la delibera ad hoc è anche scaduta scrive Repubblica

Un milione e 300mila antenne televisive. E oltre 400 parabole satellitari. Sui tetti di Roma, ma anche sui balconi degli appartamenti, senza distinzione tra centro storico, zone di pregio e periferie, “pullula una giungla di ferraglie c he offende il cielo della capitale. Col tempo, molti romani hanno optato per i colossali “padelloni”, ma non per questo hanno rimosso le antenne convenzionali che sono rimaste inutilizzate sui terrazzi. Circa il 50% del totale, secondo i calcoli dei tecnici del settore”. É quanto riporta Repubblica oggi in un articolo di Cecilia Gentile che sottolinea come “non si riesce a convincere i romani a bonificare i loro tetti, restituendo decoro ai panorami della città”.

Ci provò nel 2002 e nel 2003 l’allora assessore ai Lavori pubblici della giunta Veltroni, Giancarlo D’Alessandro, concedendo prima contributi del 20% ai condomini che avessero deciso di sostituire le vecchie antenne con un impianto centralizzato, poi facendo approvare in consiglio comunale una delibera per disciplinare l’installazione dei vari tralicci.

“Il diritto all’informazione – recita la premessa della delibera ancora in vigore – deve coesistere con quello della salvaguardia del paesaggio e del decoro architettonico della città”. Ancora: ” Le attuali modalità di installazione in molti casi recano palesemente un grave pregiudizio al profilo paesaggistico, architettonico e ambientale della città”. Ma i risultati degli incentivi e dei divieti, non essendoci adeguati controlli e sanzioni, sono stati irrilevanti: la Cna di Roma fa sapere che negli ultimi 15 anni meno del 10% dei romani ha installato un impianto centralizzato.

Ci riprovò la giunta Marino, proponendo ai condomini che avessero abbinato rifacimento delle facciate dei palazzi e impianti centralizzati l’azzeramento per sei mesi della Cosap, il canone per l’occupazione di suolo pubblico dovuto per l’allestimento dei ponteggi. “Un risparmio notevole – spiega Paolo Marongiu, responsabile unione costruzione e impianti della Cna Roma al quotidiano  – considerando che la Cosap in centro storico può arrivare fino al 20% della spesa complessiva” .

Ma, anche in questo caso, l’efficacia del provvedimento fu inficiato da un pasticcio interpretativo tra due delibere, una di consiglio e l’altra di giunta. La delibera del consiglio, che dava mandato alla giunta di licenziare il provvedimento, abbinava il rifacimento delle facciate all’installazione dell’impianto centralizzato, la successiva delibera di giunta richiedeva anche la riqualificazione energetica dell’edificio. Un grande caos che ha scoraggiato i romani, nonostante una circolare interpretativa dell’allora commissario straordinario Tronca. Nel frattempo, la delibera è scaduta il 31 dicembre 2017.

“Prima che scadesse, la Cna ha chiesto all’assessora ai Lavori pubblici, Margherita Gatta, di prorogare la delibera, ma inutilmente. La prossima settimana la incontreremo e le chiederemo di emanarne un’altra con validità fino al 31 dicembre 2020”, racconta Marongiu. La proposta della confederazione artigiani prevede una tripla casistica per ottenere l’azzeramento della Cosap: l’abbinamento del rifacimento delle facciate alla centralizzazione dell’impianto, oppure alla riqualificazione energetica, o ancora, terzo caso, all’adeguamento sismico”, conclude l’articolo.

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