Per garantire Atac presso le banche e i fornitori che pressano per riscuotere i 350 milioni di crediti accumulati con l’azienda, i”l Comune prova a mettere la prolunga al contratto di servizio: dal 3 dicembre 2019, data di scadenza di quello in corso, fino al 2024. Cioè un lustro in più per continuare nell’affidamento «in house» del trasporto pubblico romano, tempo necessario per spalmare i debiti e anche per trovare la quadra sul concordato «in bianco», procedura ormai decisa per provare ad esorcizzare lo spettro del fallimento”. Così scrive Andrea Arzilli oggi sul Corriere della Sera.
“Il piano passa in queste ore sui tavoli dell’Avvocatura del Campidoglio in cerca di nullaosta legale. Il Regolamento europeo del 2007 e la legge italiana, infatti, inquadrano nel meccanismo della gara la modalità primaria per l’attribuzione del trasporto pubblico locale, lasciando però ai Comuni la possibilità di proseguire nell’affidamento diretto se «in house» il servizio si rivela migliore e più economico. Considerate le condizioni di Atac – 1,3 miliardi di debito e un servizio crollato (a giugno i bus hanno perso per strada 1.374.935 km) – la tesi, da sostenere con una relazione firmata, sembra spericolata. «Dovrebbero fare letteralmente carte false», dice Riccardo Magi, segretario dei Radicali che ha la settimana scorsa ha consegnato in Comune le 33 mila firme del referendum per la messa a gara del servizio tpl della Capitale”.
Di fatto, però, la prolunga al contratto con Atac sembra essere l’unica possibilità di defibrillare l’azienda. “In primo luogo – prosegue il Corriere – consente il recupero dalle banche della liquidità necessaria per coprire i 70 milioni lordi che servono ad erogare i 12 mila stipendi di agosto. E poi, ma non è secondario, la prolunga serve al Campidoglio, nei panni dell’«assuntore», a strappare il sì dei fornitori/creditori al concordato «in bianco»: la procedura «congela» il pregresso lasciando margine alla gestione ordinaria, e un piano di rientro spalmato nel tempo garantirebbe – conclude – pure l’indotto che, se Atac fallisse, non vedrebbe il becco d’un quattrino”.