Badanti e baby sitter corsa per regolarizzarle

A Roma sono 127 mila i contratti registrati di lavoro domestico, ma il nero fa la parte del leone.

 

I dati di questi ultimi giorni di quarantena da coronavirus, fanno registrare in città da un lato un aumento del 12 per cento delle interruzioni dei rapporti di lavoro (per la maggior parte dimissioni di chi è voluto tornare nel proprio paese), ma dall’altro un 30 per cento in più di assunzioni. E’ quanto riporta ‘’La Repubblica’’ nei giorni scorsi.

Secondo Assindatcolf (Associazione sindacale nazionale dei datori di lavoro domestico), per un 10 per cento riguarda la sostituzione di personale che si è dimesso e per la restante parte nuovi contratti. Stipulati, forse per l’urgenza di avere qualcuno ad assistere anziani e bambini, ma soprattutto, stando al sindacato, per l’emersione di rapporti già in essere che sono stati regolarizzati.

Le disposizioni del governo obbligano infatti le persone a giustificare gli spostamenti e ad autocertificare anche il nome del datore di lavoro. «È un risvolto positivo come qualsiasi cosa che porti all’emersione – chiarisce Teresa Benvenuto, segretario di Fidaldo, Federazione nazionale dei datori di lavoro domestico – Basta un autodichiarazione per regolarizzare, questo vuole dire che con strumenti non punitivi si potrebbe avere una riduzione tra il 30 e il 40 per cento dell’attuale nero».

Il 60 per cento delle colf, però, ha smesso di lavorare. A volte per paura di prendere i mezzi e di contagiarsi, altre per l’impossibilità di andare al lavoro, altre perché le famiglie hanno preferito non rischiare il contagio.

E così il 35 per cento ha usufruito delle ferie. Ma come precisa Assindatcolf si tratta di una soluzione tampone perché in un anno si maturano 26 giorni di ferie. Se l’emergenza si prolungherà, non si potrà più ricorrere a questo strumento.

Lo stesso vale per il congedo straordinario di 15 giorni previsto dal decreto del governo per chi ha figli sotto i 6 anni, che peraltro è alternativo al bonus baby sitter. Un’altra parte dei lavoratori, il 13 per cento, rimane a casa in sospensione extraferiale (e quindi pagato), mentre il 9 per cento è rimasto senza stipendio, in permesso non retribuito.

«Parliamo di persone – spiega ancora Benvenuto – per le quali la retribuzione è vitale e di famiglie, spesso in emergenza, che si fanno carico di pagare per un servizio che non hanno. Per questo noi avevamo richiesto al governo la cassa in deroga che lo stato si sostituisca alle famiglie per pagare il dipendente.

Il nostro è un settore particolare che va tutelato. Parliamo di un comparto che non solo è essenziale, ma anche molto numeroso: conta 2 milioni di lavoratori. Sono aziende mono dipendenti, ma sono tante».

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