Banche Venete, Messina: senza di noi persi 10 mld

In un’intervista esclusiva a Repubblica, l’amministratore delegato di Intesa spiega come l’acquisizione delle banche venete non sia stato “un regalo”

Francesco Manacorda per La Repubblica

 

Buon Natale anche se è giugno, dottor Messina.

«No, guardi, il Natale per Intesa Sanpaolo arriverà anche quest’anno il 25 dicembre. Noi stiamo facendo un’operazione che aiuta risparmiatori, clienti e dipendenti in territori importanti e che contribuisce anche a rafforzare il sistema creditizio e l’Italia».

 

Ma come? Un regalo come quello che vi è arrivato con la parte sana delle banche venete e una dote statale da 5 miliardi non capita certo tutti i giorni…

«Nessun regalo, su questo voglio essere chiaro. E parlando sul serio le dico che la nostra banca non ha chiesto di comprare le attività delle venete, ma è arrivata a questa operazione dopo essere stata chiamata dall’advisor del Tesoro a partecipare a un’asta. A quell’asta si sono presentate altre primarie banche internazionali».

 

Cioè Bnp-Paribas, Crédit Agricole e anche Unicrédit, che è andata a dare un’occhiata.

«E da noi è arrivata l’unica offerta completa».

 

Un’offerta da un euro con amplissime garanzie e una dote appunto da 5 miliardi versata dallo Stato. Anche la possibilità di recedere se qualcosa non andasse secondo lo schema previsto. Molti si chiedono come sia possibile: sembra una sfida alle regole della logica e dell’equità.

«Innanzitutto bisogna capire cosa sarebbe successo senza la nostra offerta».

 

E cioè?

«Corsa agli sportelli delle banche venete, con effetto domino su altri istituti. Necessità di rimborsare i correntisti sotto i 100 mila euro con il Fondo interbancario obbligatorio che avrebbe dovuto trovare 12,5 miliardi in tutta fretta. Necessità di reintegrare il capitale di queste banche con ulteriori effetti contagio».

 

Dunque, avete strappato condizioni fantastiche perché non c’erano altre soluzioni?

«No. E lo dimostra il fatto che altre offerte non sono arrivate. Ma nel quadro di quello che sarebbe successo in caso di fallimento c’è anche un altro elemento che finora non ha sollevato nessuno. Visto che si fanno conti, anche fantasiosi, sui costi per lo Stato, se permette lo sollevo io. In questi ultimi mesi le due banche venete hanno avuto bisogno di interventi sostanziosi a sostegno della loro liquidità: si tratta di 10 miliardi di titoli emessi dalle banche, collocati presso investitori istituzionali e garantiti integralmente dallo Stato. Ecco, se oggi quelle banche fossero fallite i 10 miliardi di garanzie pubbliche sarebbero andati a coprire le perdite di chi aveva i titoli. E si sarebbe trattato di 10 miliardi di soldi pubblici in fumo. Un po’ più di quei 5 miliardi che lo Stato versa adesso, con un conto approssimativo».

 

La verità è che eravate gli unici ad avere le dimensioni per integrare le venete…

«E perché mai? Anzi, per le banche francesi ci sarebbe stata un’espansione e una combinazione territoriale molto interessante. Se non hanno fatto nessuna offerta evidentemente non stiamo parlando di un regalo, di un gioiello, ma di una situazione complessa su cui bisognerà lavorare molto».

 

Resta il fatto che pagate un euro per attività tutto sommato buone e in più avete un’iniezione di fondi pubblici.

«Con questa operazione noi mettiamo in sicurezza molte persone. In primo luogo le famiglie venete e il loro risparmio: stiamo parlando di 30 miliardi di raccolta diretta che sono nelle due banche e di 20 miliardi di risparmio gestito. Poi garantiamo che i crediti concessi alle imprese di quel territorio così importante non vengano richiamati dalle banche fallite, ma anzi vengano aumentati di 5 miliardi. Infine garantiamo i dipendenti: da noi ne arriveranno 10 mila e non ci saranno licenziamenti: tutte le uscite saranno volontarie».

 

Con la dote garantite anche che i vostri ratios patrimoniali siano invariati al 12,5% e avete un’ampia assicurazione contro qualsiasi rischio che le cose possano andare storte, anche su 4 miliardi di crediti rischiosi ma in bonis che il Tesoro alla fine vi ha convinto a prendere…

«Noi abbiamo prima di tutto un obbligo: tutelare gli 875 miliardi che i nostri clienti hanno in banca. Per Intesa Sanpaolo, che punta molto sulla gestione del risparmio, è evidente che tutelare il risparmio e non creare sfiducia nei risparmiatori è un elemento davvero strategico. Il nostro intervento si può leggere anche in questa luce. Ma questo non ci può portare a dimenticare gli obblighi nei confronti dei nostri clienti».

 

E degli azionisti che vogliono il loro dividendo…

«Certo, ci mancherebbe altro. Ma l’impegno con gli azionisti è il punto di arrivo dell’operazione, non quello di partenza. Non mi vergogno mica di cercare di agire a favore dei lavoratori e dei clienti delle venete garantendo i miei clienti e i miei soci. Siamo un soggetto di mercato, non la Cassa Depositi e Prestiti».

 

Che succederà adesso in Veneto?

«In Veneto, ma anche in Sicilia, dove diventiamo la prima banca. Innanzitutto metteremo a disposizione della clientela un plafond aggiuntivo di credito di cinque miliardi nei prossimi sei mesi, oltre ai cinquanta che già quest’anno la nostra banca prevede di erogare. Quando ho cominciato a esaminare questa operazione mi fermavo agli aspetti tecnici. Ma più la studio, più vedo che ci sono grandi potenzialità: noi abbiamo il polso dell’economia del Paese, avevamo detto già da tempo che quest’anno il Pil sarebbe cresciuto più dell’1%. E il Veneto, che cresce ai livelli della Germania, con la nostra presenza può andare ancora meglio, anche grazie a un governatore come Luca Zaia che sta lavorando molto bene. Metteremo la nostra forza al servizio del rilancio delle aziende e delle persone che arrivano a lavorare nel nostro gruppo e che devono sentirsi parte di Intesa Sanpaolo a pieno titolo».

 

Se le banche fossero fallite i 10 miliardi di garanzie pubbliche sui loro titoli sarebbero andati persi. Ma così di quanto è l’impegno pubblico: 5 miliardi, 17 o altro ancora?

«Domenica sera il ministro dell’Economia, con il rigore che lo contraddistingue, ha citato i 17 miliardi come ipotetico impegno massimo che lo Stato avrebbe dovuto affrontare. Ma perché si configuri questo quadro bisognerebbe pensare che ci sia un recupero pari a zero su dieci miliardi di sofferenze, incagli e crediti ad alto rischio. Un’ipotesi concretamente impossibile. Con tempo a disposizione, il Tesoro potrà invece avere ottimi risultati recuperando quei crediti».

 

La Borsa festeggia le sue mosse e premia tutto il settore bancario.

«Lo fa perché con questa operazione è venuta meno la paura che riguardava le banche italiane. Torniamo ad essere un Paese normale».

 

All’inizio del prossimo anno presenterete il vostro piano industriale. Cambierà con l’acquisizione delle venete?

«No, continuerà ad essere fondato sulle linee guida che stiamo mettendo a punto, compreso il rafforzamento del risparmio gestito. Diciamo che ci porterà un po’ più di complessità, mentre effetti positivi potranno arrivare dall’aumento degli impieghi e appunto dal wealth management».

 

Concludiamo: se non c’è alcun regalo e se il vostro impegno aiuta così tante categorie. Intesa Sanpaolo non è un beneficiato ma un salvatore. Si sente così?

«Proprio no. Ma non accetto nemmeno di sentirmi dire che ho avuto un regalo. Mi sento un capo azienda di una banca fondamentale per il Paese che responsabilmente ha deciso di salvare risparmi, posti di lavoro nei due istituti veneti e nelle imprese del territorio. E che per far questo non vuole e non può certo penalizzare i suoi attuali clienti e azionisti».

 

Lei parla da banchiere. Ma da cittadino cosa ne pensa?

«Tutto quello che le ho detto. Ne sono convinto anche da contribuente. Era l’unica operazione possibile, lo scenario alternativo di un fallimento sarebbe stato gravissimo per il Paese».

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