Cambia la mappa del Commercio: il sorpasso dell’alimentare

Dal 2010 al 2016 i negozi che vendono cibi e bevande sono cresciuti del 22 per cento, superando quelli di abbigliamento, calati invece dell’1,5 per cento. La mappa degli esercizi

Non trovate lavoro ma avete (o potete farvi prestare) un po’ di soldi per investire in un’attività commerciale a Roma? A giudicare da quel che è accaduto negli ultimi sei anni, dal 2010 al 2016, il consiglio più utile è quello di aprire un negozio dove si vendono prodotti alimentari. È questa la prima e facile conclusione a cui si arriva scorrendo le pagine di statistiche sul commercio di Roma di Infocamere elaborate dalla Camera di commercio locale. Considerando tutte le attività commerciali legate in qualche modo alla vendita di prodotti alimentari, non soltanto siamo di fronte alla più importante voce del comparto in termini assoluti, ma proprio qui si è avuto nell’arco di sette anni la crescita più notevole.

 

Bevande, frutta e verdura al posto del commercio tradizionale

I negozi collegati in qualche modo alla vendita di prodotti alimentari sono passati da 6.769 a 8.279, con una crescita nel periodo considerato del 22, 3 per cento. Un vero boom, di cui del resto tutti possono rendersi conto: basta farsi una passeggiata per la Capitale. Soprattutto nel centro storico e nelle aree più centrali, è sotto gli occhi di chiunque la rapida sostituzione di negozi di vario tipo con quelli che vendono alimenti, frutta e verdura, bevande ecc.

Il commercio romano sta cambiando a poco a poco ma la sua direzione è molto precisa. Probabilmente sotto la spinta di due fattori concomitanti: 1) da una parte l’afflusso di turisti, a cui viene offerto di soddisfare le necessità di base con una più vasta quantità di negozi di alimentari; 2) dall’altra il cambiamento delle abitudini dei lavoratori dipendenti che gravitano nelle aree centrali dove sono costretti a consumare pasti più o meno frugali o snack; connesso a questo vi è il mutamento dello stile di vita di chi va a fare shopping in centro e si trattiene anche durante la pausa pranzo.

Comunque sia, la metamorfosi è impressionante: su 47.509 esercizi commerciali presenti a Roma nel primo trimestre del 2016 secondo il sistema Infocamere, ben 8.279, ovvero il 17,4 per cento, è da ricollegare alla vendita di alimenti o bevande. Nel primo semestre del 2010 erano soltanto poco più del 15,22 per cento. Più di due punti percentuali sul totale mangiati (è il caso di dirlo) in soli sei anni.

 

Diminuisce l’abbigliamento, scompaiono ferramenta e artigiani

Per contro, le stesse statistiche dimostrano lo stato di sofferenza non congiunturale bensì  strutturale di altri settori. Ad esempio, l’altro comparto più grande secondo la catalogazione che fa la camera di commercio,  quello dei negozi d’abbigliamento, contava nel primo semestre dell’anno scorso  6.602 esercizi, con un calo rispetto a sei anni prima dell’1,5 per cento. Da notare che in questi sei anni c’è stato il sorpasso dell’alimentare sull’abbigliamento: nel 2010 i negozi che vendevano abiti erano 6.905, più di tutti gli esercizi di commercio al dettaglio di prodotti alimentari (che erano, come abbiamo già visto, 6.769).

La lettura delle statistiche di Infocamere ci porta a ulteriori riflessioni. Ad esempio, si scopre che i negozi di ferramenta sono in forte calo (meno 5,7 per cento nel periodo) e sono passati da 1.708 a 1.611. Probabilmente c’è qui l’effetto dei vari Bricofer e affini, i grandi magazzini specializzati in questo genere di prodotti. Fatto sta che ci si rivolge sempre meno ai piccoli negozi di quartiere che infatti diminuiscono di numero.

Sono in leggero calo anche gli esercizi che vendono mobili: da 2.342 a 2.311, con una discesa dell’1,3 per cento. Anche qui c’è probabilmente l’effetto della concentrazione della vendita di elettrodomestici in grandi catene commerciali come Ikea o Mondo Convenienza che sono ormai dominanti e stanno soppiantando il piccolo negozio di quartiere dove un tempo ci si rivolgeva.

 

Si legge meno e si comunica di più: boom dei telefoni

Tra le voci numericamente più importanti c’è il commercio dei libri: qui c’è stata nei sei anni considerati una diminuzione da 1.895 a 1.850 negozi, pari al 2,4 per cento. Si legge di meno, si direbbe. Oppure, più semplicemente, scompaiono piccoli negozi di quartiere sostituiti anche qui dalle grandi catene.

Sono andate invece bene in questi anni le calzature, che hanno visto una crescita dei negozi di 81 unità, passando da 767 a 855, mettendo a segno un più 11,5 per cento.

Positivo anche l’andamento degli esercizi commerciali dove si vendono cosmetici e articoli di profumeria, cresciuti 6,4 per cento (da 1.256 a 1.337 unità).

Da segnalare, anche se numericamente inferiori, il boom dei negozi di telefonia e telecomunicazioni, passati da 398 a 638, con un aumento del 60,3 per cento.

Le farmacie e parafarmacie sono passate nei sei anni da 269 a 310, con una crescita del 15,2 per cento.

C’è una infine voce, nel dato di Infocamere elaborato dalla Camera di Commercio, di difficile interpretazione: si tratta degli “esercizi non specificati”, una voce omnibus che comprende una gran quantità di cose e dove vanno a finire tutti i negozi difficilmente classificabili. Questi esercizi sono passati da 7.587 a 8.520, con una variazione positiva del 12,3 per cento. Occorrerebbe forse monitorare e scomporre questa voce per poter dire qualcosa di più sulle linee di tendenza del commercio a Roma. Così come manca del tutto una scomposizione dei dati a livello di quartiere: il risultato è che sappiamo poco dei flussi migratori degli esercizi da una quartiere all’altro che ci darebbero ulteriori importanti elementi su come la città stia cambiando.

In conclusione, se si dovesse sinteticamente ricavare da tutti questi dati una linea di tendenza sulle abitudini dei romani, se ne dovrebbe concludere che mangiano e bevono di più, curano di più il proprio aspetto estetico, comprano più scarpe ma leggono meno libri, spendono più soldi per le medicine (forse perché, come tutti gli italiani, invecchiano).

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