La crisi del Covid colpisce anche gli immigrati: di meno e più poveri

Pubblicato il rapporto Migrantes della Cei. Roma col maggior numero di cittadini extra Ue. Solo una minoranza percepisce il reddito di cittadinanza

Migranti in Italia
Migranti in Italia

Nel Lazio ci sono circa 620 mila migranti, di cui 500 mila a Roma. Un numero che mostra un calo rispetto agli anni precedenti, considerato che nel 2019 erano 683 mila. Più donne che uomini, seppur di poco. E’ quanto emerge dal rapporto Immigrazione della fondazione Migrantes della Cei.

Non si tratta di persone che ricorrono principalmente a misure assistenziali: infatti sono solo 38 mila coloro che percepiscono il reddito di cittadinanza o il reddito di emergenza.

Il rapporto di Migrantes dice che “la tendenza alla progressiva diminuzione della popolazione italiana, già evidenziata nelle precedenti edizioni del Rapporto Immigrazione, inizia a coinvolgere nel 2021 anche la popolazione di origine straniera, che è passata dai 5.306.548 del 2020 agli attuali 5.035.643 (-5,1%)”.

Quanto alla distribuzione territoriale dei cittadini migranti residenti, prevale il Nord (58,5%), in particolare il Nord Ovest (34%). Il Nord Est e il Centro assorbono pressoché la medesima percentuale di popolazione straniera, intorno al 24,5%, mentre il Sud e le Isole rispettivamente appena il 12,1% e il 4,8%.

Le prime 5 regioni nelle quali si attesta la maggior presenza di cittadini stranieri sono, come lo scorso anno, la Lombardia (nella quale risiede il 22,9% della popolazione straniera in Italia) seguita da Lazio, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte. Quanto alle prime 10 province prevale su tutte Roma, in cui risiede il 10% dei cittadini stranieri in Italia, seguita da Milano (9,2%) e Torino (4,2%).

La condizione occupazionale dei lavoratori stranieri già presenti in Italia ha subito un forte contraccolpo a causa della pandemia, sia per la chiusura di molte attività lavorative in settori con un’importante incidenza di cittadini stranieri sia per la prosecuzione di altre, essenziali per il soddisfacimento di necessità primarie, e da svolgere necessariamente in presenza, che hanno comunque esposto i cittadini stranieri o al rischio di sfruttamento lavorativo o a quello di infezione da Covid-19. A questo si aggiunge la più alta probabilità dei cittadini stranieri di detenere tipologie contrattuali più precarie e dunque più legate al rischio del mancato rinnovo contrattuale. Ciò ha incentivato le disuguaglianze preesistenti, riducendo l’efficacia degli interventi operati dal governo.

Il tasso di disoccupazione dei cittadini migranti (13,1%) è superiore a quello dei cittadini italiani (8,7%), mentre il tasso di occupazione degli stranieri (60,6%) si è ridotto più intensamente, tanto da risultare inferiore a quello degli autoctoni (62,8%). Le donne immigrate hanno sofferto la crisi molto di più dei loro omologhi di sesso maschile, con una riduzione del tasso di occupazione due volte maggiore. Più colpiti gli occupati in alberghi e ristoranti (25,2% degli Ue e 21,5% degli extra-Ue) e altri servizi collettivi e personali (27,6 % degli Ue e 25,2% degli extra-Ue). C’è inoltre una quota rilevante di lavoratori, che nel 2020 ha superato i 2 milioni di persone (+10,9% dal 2019), che è incerta sul proprio futuro al punto tale da ritenere di poter perdere il proprio impiego. Ma mentre per gli italiani il timore di incorrere in un evento infausto si riduce parallelamente all’aumentare del livello di istruzione – confermando come il possesso di competenze più elevate fornisca una maggiore sicurezza dinanzi al manifestarsi di rischi – questo non accade tra gli stranieri extracomunitari.

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