La proposta di legge sulla ‘ripublicizzazione’ dell’acqua – della deputata M5s Federica Daga – dovrebbe approdare in Aula alla Camera agli inizi di marzo, dopo mesi di esame in commissione Ambiente. Il termine, invece, per presentare gli emendamenti è fissato per venerdì 8 febbraio.
Ma come funziona la gestione dell’acqua e la regolazione dei suoi costi? I principi cardine del nostro sistema idrico poggiano sulle norme contenute nel Codice dell’Ambiente (il decreto legislativo 152 del 2006), secondo cui l’acqua deve essere gestita seguendo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie.
Di seguito una scheda esplicativa:
La gestione
In Italia il servizio può essere gestito dall’ente locale (in modo diretto) oppure con affidamento a una società interamente pubblica, a una privata o a una mista pubblico-privata. Al termine dell’affidamento, il gestore deve trasferire le infrastrutture al Comune o al nuovo gestore, che deve riconoscere al predecessore gli investimenti sostenuti non ancora rimborsati dal sistema tariffario. In Italia, il 97% della popolazione è servito da soggetti a matrice pubblica: 85% da società totalmente pubbliche o a maggioranza di controllo pubblica; 12% da Comuni che gestiscono direttamente il servizio; l’1% è servito da società miste a maggioranza privata, il 2% è servito da società interamente private.
Cosa si paga
Il servizio che serve a portare l’acqua nelle case, a controllarne la qualità e la pressione, a raccoglierla e ripulirla dopo l’uso (la depurazione) e a reimmetterla nell’ambiente.
La regolazione
Il servizio idrico, dal punto di vista tecnico ed economico, è regolato da Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) a livello nazionale e da Ega (Enti di governo d’ambito, ex Aato) a livello locale. I gestori non decidono le tariffe ma applicano quella determinata secondo i criteri definiti da Arera che si basa sul meccanismo del ‘full cost recovery’, cioè prevede la “copertura integrale dei costi” di gestione (investimenti compresi).
Quanto costa un metro cubo
In Italia l’acqua costa meno che in altri Paesi (dati ‘Global water intelligence, tariffs survey 2017’): per esempio a Milano si paga 0,76 euro per metro cubo; a Napoli 1,28, a Roma 1,49, a Venezia 1,66, a Palermo 1,90, a Genova 2,53. A livello internazionale ad Atene un metro cubo d’acqua costa 1,18 euro, a Madrid 1,59, a Stoccolma 2,14, a Londra 2,89, a Parigi 3,48, a Helsinki 3,62, a Bruxelles 3,81, a Amsterdam 4,12, a Oslo 4,24, a Zurigo 4,34, a Ginevra 5,00, a Berlino 5,30, a Copenaghen 5,46.
Il bonus idrico
Ogni gestore garantisce tariffe sociali per le fasce deboli della popolazione, quelle con reddito più basso, sulla base del reddito Isee e del numero dei componenti il nucleo familiare. GLI
Investimenti
Il nostro Paese ha problemi di perdite dagli acquedotti (con punte che superano anche il 40%) perché le tubazioni hanno tra i 30 e i 50 anni in media; sono necessari investimenti per la costruzione di nuovi impianti e la manutenzione di quelli esistenti. Secondo le stime di Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua ambiente e energia) il fabbisogno di investimenti si aggira oltre i 60 miliardi di euro, circa 5 miliardi all’anno. Tra il 2007 e il 2015 la media degli investimenti pro-capite si attestava a 34,4; negli ultimi quattro anni l’investimento medio all’anno per abitante è arrivato fino a 41,3 euro. (fonte Ansa)