È caos balneare lungo il litorale laziale

Politica e affari, un connubio malsano del business delle spiagge. Spiagge libere abbandonate e senza servizi. Nessun intervento della sindaca Raggi su concessioni e tutela ambiente, nonostante le promesse elettorali.

Si prospetta una lunga estate calda per le spiagge italiane. Soprattutto per quelle del Lazio dove gli accessi liberi al mare sono davvero pochi e gli stabilimenti si susseguono lungo il litorale senza soluzione di continuità. Sull’industria balneare è infatti in arrivo la riforma delle concessioni che per i bagnanti si traduce in piccoli aumenti nel timore di tempi peggiori. Il fenomeno è del resto già noto da qualche anno come testimonia il fatto che nel 2016, secondo l’associazione dei consumatori Adoc, i prezzi di ombrelloni e lettini sono cresciuti del 2,4 per cento. Con il risultato che trascorrere una giornata al sole sul litorale laziale può arrivare a costare mediamente più di 29 euro al giorno contro i 25 della Campania e la cifra record di 78 euro della Sardegna. Tutto questo escludendo servizi aggiuntivi come ristorazione o attività sportive. Prezzi da capogiro soprattutto se confrontati con altre realtà europee: nelle prestigiose località francese di Cannes o Nizza, ad esempio, il prezzo di ombrellone e sdraio può andare da un minimo di 15 fino ad un massimo di 30 euro.

Non a caso l’industria balneare italiana è prospera: fattura circa 15 miliardi l’anno su 7500 Km di spiagge contro appena un miliardo di quella francese su 5.500 Km di litorale. Al tempo stesso, i canoni pagati dai concessionari allo Stato restano bassissimi: nel 2016, le casse pubbliche hanno intascato appena 101,8 milioni dagli stabilimenti con canoni quasi simbolici che si aggirano sui 400 euro al mese. Si tratta di appena lo 0,73% dell’intero giro d’affari del settore.

Per non parlare del fatto che in Italia non esistono gare pubbliche, le concessioni vengono di volta in volta rinnovate in maniera automatica e sul tutto il litorale si moltiplicano le violazioni relative sia agli spazi poi effettivamente utilizzati che alle strutture realizzate.

La questione è ben nota a tutti. Inclusa l’Unione europea che nel 2009 ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia. Alla base dell’iniziativa di Bruxelles c’è la reticenza italiana a dare applicazione alla direttiva Bolkestein che impone la messa a gara europea delle concessioni. Per l’Unione Roma è colpevole di aver concesso una moratoria fino al 31 dicembre 2020 con un rinnovo automatico delle attuali licenze. Un’iniziativa che peraltro è stata bocciata dalla Corte di Giustizia europea nel luglio dello scorso anno. Rebus sic stantibus, il governo non può far altro che far applicare la direttiva e, al massimo, introdurre correttivi nei bandi dando un valore agli investimenti già realizzati dalle 30mila imprese del settore. Può inoltre limitare il cumulo di concessioni contenendo a massimo tre il novero di quelle riconducibili ad un unico soggetto ed evitare così che le multinazionali si impadroniscano di pezzi di litorale a danno delle piccole e medie imprese. Nulla esclude, infine, una fase di transizione verso nuove regole. Un periodo che però, come evidenziato dal governo Gentiloni, non potrà durare certo trent’anni.

Se questo è il contesto generale, quali sono le prospettive dell’industria balneare? E qual è nel dettaglio la situazione del litorale laziale? Sulle coste romane il Piano Utilizzazioni Arenili del 2005 è sospeso in attesa di una nuova e più moderna versione che recuperi più spazi liberi a favore dei cittadini. Il sindaco di Roma Virginia Raggi ha promesso di occuparsi della questione nel suo programma elettorale con l’ “Identificazione di nuovi parametri per le future concessioni delle spiagge che puntino al rispetto e alla tutela del delicato ambiente costiero”. Tuttavia finora, complice anche i difficili equilibri politici del Campidoglio, il tema spiagge non ha registrato novità sostanziali. Così arrivati ormai “all’avvio della stagione balneare Ostia e il suo più importante sistema economico sono in crisi di presenze, investimenti bloccati, nessuna ipotesi di rinnovamento in campo, spiagge libere abbandonate e senza servizi” spiega Angelo Cavola, vicepresidente Sindacato Italiano Balneari Regione Lazio Fipe/Confcommercio Roma. Inoltre la situazione attuale “non consente di generare nuovi posti di lavoro, come accaduto in passato, in special modo giovanile, in una realtà territoriale che, viceversa, oggi ne avrebbe una grande necessità”. Il caos insomma domina sovrano e, per di più, non mancano i casi in cui i tribunali amministrativi dicono no al prolungamento ventennale delle concessioni come è accaduto, a fine maggio, allo stabilimento “La Casetta” di Ostia.

Infine, sull’intera questione della riorganizzazione dell’industria balneare laziale c’è anche la pesante ombra del malaffare su cui, nel 2004, alzò il velo l’inchiesta “Anco Marzio”. Da allora sul litorale romano è iniziata una lunga battaglia per la legalità. Ad undici anni di distanza da quell’inchiesta, il 27 agosto 2015 (ben undici anni dopo) il municipio di Ostia è stato sciolto per “ingerenze della criminalità organizzata sull’amministrazione” come ha scritto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel decreto ufficiale di scioglimento.

Intanto anche alcuni processi sono arrivati a maturazione: a febbraio la VII sezione collegiale del Tribunale di Roma ha condannato sette persone, con aggravante mafiosa, nell’ambito del processo sull’assegnazione di alcuni chioschi a Ostia. Ma c’è ancora tanto da indagare sul malaffare del litorale romano come confermano i sigilli al Porto di Ostia che fa capo a Mauro Balini, imprenditore al quale, un anno fa, la Guardia di Finanza ha messo sotto sequestro beni per 450 milioni. Inclusi lo stabilimento balneare Plinius e il chiosco Hakuna Matata. “A Ostia i clan mafiosi sono stati privati grazie al commissariamento (del Municipio, ndr) di fette importanti di potere e di influenza, al porto e nelle concessioni balneari – ha spiegato in un vertice in Prefettura lo scorso 30 maggio, Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia – Ma che siano rassegnati non ci credo. A Ostia c’é la mafia, famiglie insediate da tempo e che l’hanno fatta da padrone troppo a lungo. Oggi la situazione é maggiormente sotto controllo”. Se Ostia è il simbolo degli errori cumulati sulle spiagge romane, la situazione non è molto diversa sul resto del litorale laziale dove politica e affari spesso si intrecciano in un connubio malsano fortemente avverso all’avvento di una normativa europea capace di rimettere in gioco il business delle spiagge.

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