Elezioni comunali, la strana analisi della sconfitta da parte del M5S romano

Un’intervista del consigliere grillino Paolo Ferrara svela le modalità con cui Virginia Raggi e i suoi fedelissimi hanno analizzato il primo turno

Immaginiamoci negli anni Settanta e Ottanta cosa accadesse in un partito all’indomani di una sconfitta elettorale. Riunioni di fuoco, toni accessi, spintoni e parole grosse erano all’ordine del giorno nello stato maggiore dei partiti durante la Prima Repubblica. L’immaginazione non serve a molto, perché sono i verbali e i ricordi dei protagonisti a testimoniare quanto fosse importante analizzare un happening elettorale per raddrizzare la rotta o per scatenare una resa dei conti tra le correnti di uno stesso partito. Oggi Nenni, Berlinguer, Andreotti e Almirante non ci sono più ma a non esistere più è soprattutto una certa visione della politica, e una profondità di analisi dei protagonisti odierni dell’agone politico. Una testimonianza di come siano cambiati i tempi ci arriva da un’intervista del consigliere capitolino – vicinissimo all’ex sindaca Virginia Raggi – Paolo Ferrara. Il vulcanico consigliere grillino è tra i pochi ex eletti in Aula Giulio Cesare ad essere riuscito a riconfermare lo scranno, come ha raccontato qualche giorno fa Radiocolonna. In un impeto di sincerità, Ferrara ha spiegato a Repubblica che l’analisi del voto romano, tra Virginia Raggi e i consiglieri che la sostenevano, è avvenuta “solo lì per lì, poi in chat”:

Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti, e comprendere questa affermazione può aiutare a capire le tare e il DNA di un certo modo di fare politica. Per molti dei protagonisti degli ultimi cinque anni – lato M5S – in Campidoglio, quelle appena svolte si possono considerare le ‘elezioni della vita’: un gruppo di attivisti che sorprendentemente si trova a governare Roma e che, a termine del mandato, difende con le unghie e con i denti l’operato svolto. Poi, quando arriva la sconfitta, com’è possibile riflettere su quello che è accaduto in chat, come se si stesse organizzando una pizza con amici, e non con una serie di riunioni e discussioni per cercare di rimettere insieme i cocci e di capire come affrontare il tema del ballottaggio?

Che sia una forma di rimozione freudiana, non lo sappiamo. Ma quest’analisi del voto del M5S romano all’indomani delle elezioni sembra più lo specchio di un movimento in crisi, diviso tra il governismo e il movimentismo, tra i sorrisi di Giuseppe Conte a Napoli e il senso di smarrimento e rabbia di Virginia Raggi e dei suoi fedelissimi, che si sono sentiti abbandonati da una linea politica che probabilmente avrebbe preferito un candidato diverso e più in sintonia con il Partito Democratico. Ma anche uno specchio della grande incertezza che ruota attorno al futuro di Virginia Raggi: andrà a ricoprire un ruolo a livello nazionale? Si occuperà a 360° di Roma? Oppure, com’è probabile, l’ex sindaca entrerà nel direttivo nazionale grillino e destinerà al tema-Roma riflessioni e invettive soprattutto tramite i social? È ancora presto per dirlo, ma dalle parole di Ferrara la questione sembra ancora aperta e la presenza di Virginia Raggi all’ombra del Campidoglio tutt’altro che certa.

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