Negli ultimi 25 anni gli Stati Uniti sono stati il primo mercato extraeuropeo di destinazione delle esportazioni italiane. L’accresciuta dipendenza dal mercato Usa rappresenta uno dei principali fattori di rischio per la tenuta futura dell’export del nostro paese, se si considerano i dazi al 15% imposti alla Ue da parte dell’amministrazione Trump. È quanto emerge da una ricerca dell’Ufficio studi della Banca del Fucino, intitolata “Oltre il giardino. 25 anni di export italiano extra-europeo”. Lo studio, predisposto da Vladimiro Giacché e Michele Tonoletti, fornisce una panoramica dei cambiamenti dell’export italiano, sia sui paesi di destinazione che sulle merci esportate.
Secondo il report negli ultimi 25 anni la quota di export italiano diretta verso l’Area euro si è ridotta di 6 punti percentuali (dal 45 al 39% circa del totale), anche se il mercato europeo rimane la principale destinazione dei prodotti italiani (67,2% nel 2020-24, a fronte del 70,1% nel 2000-04). Lo spazio perso dall’Europa è stato occupato da tre paesi: Cina (+1,5%), Stati Uniti (+1,1%) e, in misura minore, India (+0,4%). Ma – si legge nel report – il peso di Cina e India sul totale dell’export italiano è rimasto molto modesto, rispettivamente al 2,9% e allo 0,8% nella media del quinquennio 2019-24. Gli Stati Uniti, al contrario, hanno conservato e rafforzato la propria posizione di primo mercato extraeuropeo di destinazione delle esportazioni italiane, fino a pesare per più dell’11% del totale nel triennio 2022-24.
La ricerca di Banca del Fucino identifica in questa accresciuta dipendenza dal mercato Usa uno dei principali fattori di rischio per la tenuta futura dell’export italiano, un rischio che sembra ora concretizzarsi con l’imposizione di dazi al 15% da parte dell’attuale amministrazione degli Stati Uniti su gran parte dell’export europeo. Il rischio è legata anche ai cambiamenti che la composizione merceologica dell’export italiano ha visto negli ultimi 25 anni.
Il dato più rilevante è l’emergere del settore farmaceutico: la quota di prodotti esportata è passata dal 3,5 all’8,0% del totale. Un dato che è secondo solo al settore alimentare, balzato dal 5,6% al 9,3%.
In queste due decadi gli Stati Uniti hanno giocato un ruolo importante, assorbendo quote rilevanti dell’export italiano proprio in questi comparti. Se sui prodotti farmaceutici non vi è chiarezza circa l’applicazione dei dazi al 15% stabiliti negli accordi tra Usa e Ue di fine luglio, i prodotti alimentari, invece, rientrano certamente nel perimetro delle merci colpite dai dazi, ed è lecito attendersi un danno significativo per questo settore.
La ricerca evidenzia poi come, al netto di un arretramento del settore tessile – dal 15,3 al 10,9% – i comparti tradizionali del Made in Italy – moda, arredamento, alimentari e meccanica – abbiano dimostrato notevole resilienza, riscontrando spesso grande successo nei mercati extraeuropei. Ciò testimonia la perdurante forza del brand Made in Italy nel mondo, oltre alla capacità delle imprese della meccanica di mantenersi competitive nel mercato mondiale dei macchinari e dei beni strumentali per l’industria. Ad oggi quello della meccanica – con più del 16% del totale – costituisce in effetti il nostro più importante comparto di esportazione. Farmaceutico, beni di consumo e meccanica – conclude la ricerca – sono tre settori nei quali l’Italia ha dimostrato di detenere un’ottima capacità di competizione sui mercati internazionali.
In prospettiva, secondo il report, non mancano i nuovi mercati a cui guardare. La Cina e l’India, anche solo per la loro dimensione, costituiscono i due mercati di destinazione dal più alto potenziale: nel caso dell’India, il nostro export si concentra primariamente sui macchinari – già oggi più del 40% del totale esportato verso questo Paese – e su altri prodotti destinati all’industria; anche nel caso della Cina la componente dei macchinari riveste un ruolo molto rilevante – circa il 30% dell’export totale – ma anche i prodotti di consumo del Made in Italy hanno registrato performance più che positive.
Negli ultimi cinque anni è cresciuto l’export dei prodotti di elettronica, in media dell’11,8% annuo, nei paesi dell’Associazione delle nazioni del Sud Est Asiatico (Asean).
La ricerca dedica alcune sezioni anche al cosiddetto estero vicino, il Medio Oriente e l’Africa. Le monarchie del Golfo da anni dimostrano apprezzamento per i prodotti del made in Italy, anche se i macchinari rimangono la categoria principale di export verso quest’area. L’Africa rimane invece ancora in gran parte un’incognita, specialmente per quanto riguarda la parte sub-sahariana del continente: per Banca del Fucino, il piano Mattei rappresenta “un ottimo passo nella direzione di un buon posizionamento presso una delle regioni più importanti per il futuro”.