Festival della Crescita: il passato come trampolino

Riscoprire valori del passato per soluzioni innovative da lanciare nel futuro, alla ricerca di una sostenibilità compatibile con il digitale. Nelle parole di Carlo Alberto Pratesi, docente di marketing, innovazione e sostenibilità a Roma Tre

Carlo Alberto Pratesi* per La Repubblica

 

Se non fosse per Donald Trump, che considera il riscaldamento globale una “totale, costosissima impostura”, inventata dai cinesi “per rendere non competitiva l’industria americana”, probabilmente oggi i negazionisti del cambiamento climatico sarebbero considerati stravaganti e incompetenti.

Per fortuna, esistono politici ben più illuminati come Jesse Klaver, il leader dei verdi uscito vincitore dalle recenti elezioni olandesi, che al primo posto nei loro programmi mettono la sostenibilità, intesa come necessità di conciliare obiettivi economici, sociali e ambientali, permettendo alla nostra specie di popolare, ancora per un bel po’, il pianeta. La cosa non è affatto garantita: oggi sappiamo che i nostri figli potrebbero avere una vita più breve e peggiore di quella dei nostri genitori. Questo per errori ed eccessi delle generazioni che li hanno preceduti: lo dimostra il 97% delle ricerche scientifiche mondiali che spiegano come il riscaldamento globale viene innescato e implementato dall’uomo. A fronte di questa triste constatazione, sulla quale la scienza è ben allineata, c’è ancora una certa confusione su cosa si debba fare a livello globale per evitare il collasso.

In molti pensano che la sostenibilità possa essere raggiunta solo attraverso una totale rivisitazione del nostro modello di sviluppo, basato sul consumo a oltranza e sulla crescita a qualunque costo. Suggeriscono un ritorno al passato e alla tradizione, l’abbandono del modello industriale fondato sul capitalismo e sulle grandi aziende globali, a favore delle piccole imprese, dell’artigianato e dell’economia di prossimità. Uno spostamento controcorrente, dalle grandi metropoli ai piccoli borghi, dalla città alla campagna.

Altri, invece, sono ancora convinti che solo l’innovazione tecnologica e il progresso che ne deriva possano produrre nuove forme di resilienza e nuove risorse naturali da sfruttare in modo sempre più efficiente. A sostegno della loro tesi, dimostrano che l’impatto ambientale diminuisce se si produce in larga scala e se la densità abitativa aumenta. Affermano che per sfamare una popolazione che andrà presto ben oltre i sette miliardi di persone c’è bisogno di un’industria efficiente, e non di piccoli produttori locali. Di OGM piuttosto che di agricoltura biologica.

Chi ha ragione? Tutti e nessuno. La realtà è che molte delle soluzioni per la sostenibilità vanno ancora trovate e, per farlo, l’unica strada è quella di conciliare due prospettive, apparentemente discordanti. Da un lato, una spinta continua alla ricerca di tecnologie innovative che consentano di conservare l’energia, rendere più facili le comunicazioni, sviluppare intelligenze artificiali e costruire nuovi materiali.

Dall’altro, occorre guardare al passato, ricercare nella tradizione quelle regole e quella sensibilità che nell’ultimo secolo sono stati dimenticati: riscoprire l’importanza della (bio)diversità, le rotazioni colturali sui campi, il
rispetto degli ambienti e dei cicli biologici, il valore reale delle risorse naturali. Possiamo definire questo approccio combinato “retro-innovazione”: valori del passato e soluzioni del futuro.

Per mettere in atto la retro-innovazione occorrono persone giovani, che con passione e impegno, senza troppi schemi mentali, sappiano reinterpretare i modelli antichi di sviluppo utilizzando tutto ciò che di nuovo e tecnologico ci offre la ricerca. Allevarli è compito delle famiglie, del sistema educativo e dei media: se nei prossimi anni non ne nasceranno abbastanza, la nostra crescita non sarà più garantita.

 

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*Ordinario di Marketing, Innovazione e Sostenibilità, Università Roma Tre

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