Lavoro “povero” nel Lazio: sempre più precari che guadagnano meno di 10 mila euro annui

I numeri della Uil Lazio e da Eures evidenzia che nel Lazio stanno diminuendo i lavoratori a tempo indeterminato

Il segretario generale della Uil Lazio, Alberto Civica, e il presidente di Eures, Fabio Piacenti, nel corso della presentazione del rapporto "Disparità retributive precarietà e lavoro povero nel Lazio", a Roma.

Diminuiscono stipendi e potere d’acquisto nel Lazio e aumentano i lavoratori poveri, ovvero quelli con retribuzioni inferiori a 10 mila euro annui. È quanto emerge dal dossier su “Disparità retributive precarietà e lavoro povero nel Lazio”, realizzato da Uil Lazio e da Eures e presentato questa mattina. Il rapporto evidenzia che nel Lazio stanno diminuendo i lavoratori a tempo indeterminato (passano dal 78,1 per cento del 2011 al 73,4 per cento del 2021) e stanno aumentando quelli con un contratto a termine (passano dal 21,7 per cento nel 2011 al 24,2 per cento nel 2021). Ancora più preoccupante il dato dei dipendenti inquadrati con contratti stagionali che nel 2011 rappresentavano lo 0,3 per cento del totale e a distanza di dieci anni hanno raggiunto il 2,4 per cento dei lavoratori.

I dati Inps, relativi al periodo 2016-2021, evidenziano come – a fronte di un complessivo incremento di 130 mila lavoratori del settore privato nel Lazio – si registri una vera e propria impennata (+30 per cento in cinque anni) di lavoratori che percepiscono compensi inferiori a 5 mila euro annui e un consistente incremento di quelli tra 5 mila e 10 mila euro: complessivamente, dunque, i lavoratori dipendenti con retribuzioni inferiori a 10 mila euro arrivano a rappresentare un terzo del totale (33 per cento), contro il 29,5 per cento del 2016. “Un peggioramento, frutto anche di una struttura produttiva non in grado di competere nei campi dell’innovazione e della digitalizzazione, di un’economia non sostenuta da efficaci politiche di sviluppo industriale, da investimenti pubblici di valenza strategica né da una capacità di attrazione degli investimenti esteri e da un sempre maggiore ricorso all’occupazione precaria e stagionale, a discapito di quella stabile”, ha spiegato il segretario della Uil del Lazio, Alberto Civica.

Nell’ambito delle disuguaglianze, spicca ancora una volta la differenza di genere: i compensi percepiti dalle donne sono di 6,5 mila euro inferiori a quelli degli uomini. Una dinamica decennale che evidenzia come, continuando così, sarebbero necessari ancora 80 anni perché il divario di genere si azzeri. E sono soprattutto i giovani a pagare il prezzo più alto della crisi. “Il crescente processo di precarizzazione del lavoro e la presenza di una quota rilevante di lavoro irregolare e lavoro nero, stanno contribuendo a ridurre le retribuzioni reali di tutti i lavoratori e in particolare dei giovani, che in 7 casi su 10 hanno una retribuzione sotto i 10 mila euro annui”, ha detto il presidente di Eures, Fabio Piacenti. Le retribuzioni, infatti, crescono con l’aumentare dell’età anagrafica attestandosi su valori inferiori ad un terzo della media regionale tra le persone sotto i 25 anni (6.845 euro annui nel 2021 contro 21.942).

Anche tra i cosiddetti “Middle young”, persone tra i 25 e i 34 anni, dove la quota di dipendenti che ha lavorato per meno di 3 mesi raggiunge il 19 per cento e appena poco più di un lavoratore su tre ha percepito almeno 12 mensilità, i compensi si mantengono al di sotto della media regionale, raggiungendo i 15.627 euro annui. Il calo delle retribuzioni sembra però non toccare i cosiddetti profili apicali che anzi registrano una significativa crescita. Se infatti lo stipendio medio di un quadro supera i 64 mila euro e quello di un dirigente è di 142 mila, la retribuzione annua di un impiegato non raggiunge i 24 mila e quella di un operaio e di un apprendista non arriva nemmeno a 14 e a 12 mila euro.

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