Monte di Pietà, Unicredit fra tre mesi esce dal business

A breve il trasferimento delle attività alla casa d'aste austriaca Dorotheum. Per il sindacato solo nel Lazio e a Roma sono a rischio 80 posti di lavoro. Con un impatto sociale tutto da verificare.

C’era una volta il Monte di Pietà. Ma oggi, per effetto della crisi, l’antica istituzione nata nel rione Regola, nel cuore pulsante della Capitale, sta per subire un’inattesa metamorfosi. Con un impatto sul territorio tutto da verificare. Soprattutto nella capitale dove il servizio pegni del Banco di Roma è da sempre un punto di riferimento.

A dicembre Unicredit, che ha inglobato nel 2007 Capitalia (Banca di Roma), ha deciso infatti di disfarsi delle attività dei pegni in cui è leader di mercato in Italia. Il management dell’istituto di credito non ritiene si tratti di un business interessante e così ha promesso di vendere il ramo d’impresa alla casa d’aste austriaca Dorotheum per 141 milioni. Il problema è che il passaggio di mano non sarà indolore soprattutto nel Lazio e nella Sicilia, le due regioni in cui è maggiormente concentrato il business del credito su pegno di Unicredit. Nel Lazio, infatti, si contano ben 80 dei 250 dipendenti del settore pegni attivi nell’istituto guidato da Jean-Pierre Mustier. Lavoratori che non sanno ancora quale sarà il loro destino come spiega Paolo Battisti, segretario della Uilca Lazio e Roma. Il momento della cessione agli austriaci si avvicina inesorabilmente: il trasferimento delle attività e dei dipendenti è infatti previsto a giugno. Ma al momento Unicredit non ha ancora avuto contatti con il sindacato come normalmente avviene nella dismissione di interi rami d’azienda.

Come se non bastasse, a preoccupare le organizzazioni di categoria, oltre al fronte occupazionale, c’è anche l’aspetto sociale relativo alla vendita di un’attività con un giro d’affari solido a Roma e più in generale in tutto il Lazio. Basti pensare che lo storico Monte della Pietà capitolino esisteva già nel 1600 proprio per facilitare prestiti ai più bisognosi e la sua attività si è consolidata nei secoli fornendo microcredito alla popolazione locale. Da allora, infatti, la funzione del banco dei pegni è rimasta sostanzialmente immutata. Nel corso dei secoli sono invece cambiati i clienti.

Non ci sono più solo cittadini ai margini della società, ma anche lavoratori che non riescono ad arrivare alla fine del mese e molti pensionati che impegnano un bene di famiglia per avere subito i contanti necessari a far fronte alle spese quotidiane. Non a caso il comparto alimenta un business da circa 800 milioni di euro l’anno con prestiti che vanno da poche centinaia di euro fino alle cifre record di 200 o 300mila euro per un totale di 33mila prestiti al mese.

“Il credito su pegno svolge oggi una funzione importante – commenta Battisti – perché i cittadini possono avere credito dalle banche, in un momento di crisi economica e sociale, senza ricorrere ad attività illegali di usura”.

Dorotheum è invece di tutt’altra pasta. E’ una casa d’aste che vanta 310 anni di esperienza ed è quindi più interessata alla valorizzazione dei preziosi che non al ruolo sociale del pegno ideato dalle banche quando erano ancora sotto il controllo pubblico. Facile immaginare che una volta passato di mano l’antico Monte di Pietà si trasformi in oro nelle mani degli austriaci. Cosa che non faciliterà di certo le famiglie italiane nell’accesso ai piccoli crediti.

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