Roma, Acea e la mina dell’acqua pubblica

Presentata in parlamento la proposta di legge per riportare il servizio sotto il cappello pubblico. Ma al Campidoglio costerebbe caro. E probabilmente anche ai cittadini.

Poco meno di un miliardo e mezzo. Tanto costerebbe alle casse di Roma Capitale riconquistare la totalità del capitale di Acea, società che ha un valore di mercato superiore a 2,5 miliardi e di cui il Campidoglio ha il 51 per cento. Naturalmente la cifra in questione è solo una stima, un esercizio contabile che include anche un premio per convincere gli attuali investitori, il mercato, Suez-Gdf e Caltagirone ad uscire dalla partita. Tuttavia il dato spiega bene cosa potrebbe accadere alle casse degli enti locali se passasse la proposta di legge della parlamentare 5Stelle Federica Daga. Il documento in questione prevede infatti un ritorno al passato con l’acqua che torna ad essere gestita da soggetti pubblici. Una soluzione che secondo la società di ricerche indipendente Ref potrebbe portare complessivamente 20 miliardi di oneri aggiuntivi sulle casse pubbliche solo nel primo anno. Di questa cifra circa 5 miliardi se ne andrebbero in indennizzi del gestore uscente, mentre il resto sarebbe legato a rimborsi, investimenti, e almeno 2 miliardi sarebbero infine necessari per erogare gratuitamente i primi 50 litri/giorno a tutti. Senza contare che, secondo i ricercatori, l’opzione di esclusiva pubblica “rischia di minar il cammino industriale del settore”.

Di sicuro per ora c’è il fatto che l’operazione peserebbe pesantemente sui bilanci pubblici visto che il conto finirebbe sulla fiscalità generale e, salvo trovare i denari altrove, rischierebbe di trasformarsi in nuove tasse sui cittadini. Senza contare che, secondo la società di ricerche, bisognerà dare anche una risposta alla necessità di finanziare investimenti per almeno 5 miliardi l’anno per i prossimi 20 anni. Vista la dissestata situazione contabile dei comuni italiani, l’operazione è insomma tutt’altro che facile. A questo va aggiunto che la gestione dell’acqua è un business complesso, bisognoso di ingenti risorse per proiettarsi sul futuro. Per capire la dimensione della questione, basti pensare che, anche per crescere, Acea ha totalizzato nel tempo 2,6 miliardi di debiti su un fatturato al 30 settembre da 2,2 miliardi. “L’indebitamento del gruppo registra un incremento complessivo pari a 209,6 milioni, passando da 2,421,5 miliardi della fine dell’esercizio 2017 a 2,631,2 miliardi dei primi nove mesi del 2018. – spiega il resoconto intermedio di gestione al 30 settembre scorso- Tale variazione è diretta conseguenza degli investimenti del periodo ivi compresi quelli di natura tecnologica. Contribuiscono alla variazione negativa il peggioramento della posizione a debito dell’area idrico (+90,0 milioni di euro) e dell’area infrastrutture energetiche (+115,1 milioni di euro) ai maggiori investimenti ed ai pagamenti effettuati dalle società dell’area idrico anche con riferimento a Roma Capitale”.

Infine, come testimonia la comparazione del caso Atac, completamente pubblica, e quello della società privata, in concessione, Autostrade su Genova, non è certo la proprietà che incide sulla qualità di gestione e dei servizi. A patto che i controlli funzionino. Piuttosto che riportare tutto sotto il cappello pubblico, lo Stato dovrebbe forse preoccuparsi di più della qualità di amministratori , consiglieri e sindaci e della loro reale capacità di rappresentare gli interessi pubblici all’interno delle partecipate. Forse è proprio questo quello che negli anni è mancato, assieme ad un puntuale controllo da parte dei ministeri competenti. Il nodo in questione è quanto mai urgente oggi che il settore dell’acqua si trova davanti ad un bivio con la necessità di grossi investimenti per arginare le consistenti perdite di una rete distributiva colabrodo. Ma una legge sulla privatizzazione difficilmente risolverebbe i problemi del settore. Anzi cambierebbe le carte in tavola aprendo uno scenario che rischia di rallentare gli investimenti e suscettibile di creare preoccupazioni fra i grandi investitori internazionali. Una questione decisamente non da poco.

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