Roma, al Teatro dell’Opera la musica non cambia

Dopo la crisi del 2013, la Fondazione ha avviato una ristrutturazione e chiude il 2017 in utile. Ma la sopravvivenza resta legata ad un contributo pubblico che in futuro potrebbe non essere scontato

Il sipario della ristrutturazione doveva chiudersi nel 2016. E invece lo spettacolo è andato avanti fino al 2018 senza però riuscire a risolvere i problemi di finanziamento del Teatro dell’Opera di Roma che gestisce sia il Teatro Costanzi che Caracalla. Ancora oggi infatti il futuro è legato a doppio filo con il finanziamento pubblico, proveniente principalmente dal Ministero della Cultura, nonché dagli altri principali soci, il Campidoglio e la Regione Lazio. Con il risultato che, visti i venti di crisi, le prospettive dell’Opera di Roma, affossata da 70 milioni di debiti, sono assai incerte nonostante il 2017 si sia chiuso con un utile che sfiora i 60mila euro. Tanto più che il valore della produzione dello scorso anno ha subito una contrazione (-2%) a 56 milioni rispetto all’anno prima sia pure accompagnata da un lieve calo dei costi (-1,9% a poco più di 55 milioni).

A guardare bene nelle pieghe del bilancio, il Teatro dell’Opera di Roma è infatti ben lungi dall’autofinanziarsi. I ricavi da biglietteria e di altre prestazioni ammontano nel 2017 a 12 milioni, in crescita del 2,5% rispetto ad un anno prima. Ma a tenere in piedi la struttura che gestire il Teatro Costanzi e l’Opera di Caracalla sono 38,8 milioni di contributi pubblici (il 68,9% del totale), appena limati (-0,2%) rispetto al 2016. Tuttavia il bilancio puntualizza come “le fonti di autofinanziamento (biglietteria, altri proventi caratteristici, sponsorizzazioni, contributi da privati e altri ricavi) ammontino a 14,6 milioni di euro, pari al 25,9% del totale del valore della produzione, in forte crescita rispetto al dato del 2013 (prima dell’adesione alla legge Bray) che era pari al 17,8 per cento”. Inoltre se si guardano i soli ricavi al botteghino, il Teatro dell’Opera soffre (-7,5% a 8,5 milioni) “causa di una diversa articolazione della programmazione artistica della stagione 2017-2018 rispetto a quella precedente. In particolare nel mese di dicembre l’allestimento dell’opera inaugurale “La damnation de Faust” non ha consentito l’alternanza con un’opera di repertorio, come di norma fatto negli anni precedenti, generando una diminuzione dei ricavi di biglietteria per il mese di dicembre” si legge nel bilancio 2017 in cui si puntualizza come il sovrintendente Carlo Fuortes sia già intervenuto per risolvere la questione agli inizi dell’anno in corso. “A testimoniare che la domanda è in una fase di crescita c’è stato un rilevante incremento degli incassi da abbonamenti che, rispetto al 2016, fanno segnare una crescita di quasi 150mila euro (+11,4%) – riferisce il documento contabile – Crescono infine in maniera molto significativa i ricavi connessi alle altre prestazioni caratteristiche (+836mila euro pari a +74,2%). Tale risultato è frutto, oltre che delle tournée – del corpo di ballo – che hanno generato ricavi per quasi 560mila euro, della crescita dei ricavi da coproduzione (+235mila euro), dell’incremento dei proventi legati al noleggio di materiale teatrale (+94mila euro), dei proventi delle scuole (+34mila euro), dei diritti per le riprese televisive (+79mila euro)”.

Certo non si può negare che l’attuale gestione abbia fatto uno sforzo importante sul fronte del contenimento dei costi che nel 2017 sono diminuiti di oltre un milione (-1,9%). Se poi si escludono gli elementi finanziari e si considera la sole gestione caratteristica, i costi di produzione registrano una contrazione del 2,3 per cento. Scendono le spese per artisti scritturati (-15%), per le utenze (-20%), per la pubblicità (-11%), per le manutenzioni (-43%) e per le sopravvenienze per servizi 8-57%). “Tale attività di risparmio è stata resa possibile da un’attenta attività di controllo dei costi e di efficientamento dei processi produttivi – prosegue il bilancio 2017 -. Significativi risparmi sono stati realizzati anche sotto il profilo dei costi per materie prime che scendono di quasi 108mila euro (-19,1%). Ma si tratta di poca cosa rispetto alle risorse necessarie. Anche perchè risultano invece in crescita (+1,3 milioni di euro) i costi del personale (+3,9%). Si tratta di una crescita ampiamente prevista in quanto determinata dagli effetti negativi della sentenza della Corte Costituzionale n. 260 del 1/12/2015 in forza della quale la Fondazione è stata costretta a stabilizzare alcuni lavoratori con i quali aveva delle vertenze, come conseguenza della violazione delle norme in materia di stipula di contratti di lavoro subordinato a termine, avvenute negli anni precedenti il 2012”. Peraltro la Fondazione è parte in causa di ben 174 procedimenti giudiziali per la conversione dei rapporti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. E solo nel 2017 sono state effettuate 70 reintegri. Tuttavia, secondo la gestione del Teatro, la Fondazione è in grado “di assorbire gli esiti del contenzioso senza avere gravi conseguenze sostanziali dal punto di vista del costo del lavoro” visto che contemporaneamente scende il peso dei contratti tempo determinato e vengono siglati accordi “tombali” che non prevedono indennizzi sul passato.

Il problema maggiore della Fondazione restano senza dubbio i debiti che nel 2017 ammontano a 70 milioni, in crescita del 4,3 per cento rispetto all’esercizio antecedente. “L’incremento dei debiti è dovuto essenzialmente ad un incremento dell’indebitamento bancario (+2,7 milioni di euro) che, grazie all’auspicato miglioramento delle procedure operative di fido con gli istituti bancari, è passato ad un livello più adeguato al budget della Fondazione ed alle sue necessità finanziarie ed operative” prosegue il bilancio 2017 che segnala anche un aumento dei debiti tributari. Non a caso in seguito alle condizioni di disseto emerse nel 2013, la Fondazione ha aderito ad un piano di risanamento che sarebbe dovuto terminare nel 2016, ma che in realtà è stato allungato fino al termine del 2018. “La Fondazione Teatro dell’Opera di Roma, per il biennio 2017-2018, si pone come obiettivo il mantenimento dei livelli produttivi del 2016, caratterizzati da un significativo incremento del tasso di crescita rispetto alla situazione ante-Piano. Si ritiene, infatti, che gli attuali livelli produttivi (che generano ogni anno oltre 190 rappresentazioni di lirica e balletto) configurino, sotto il profilo organizzativo, gestionale e finanziario, il massimo sforzo che il Teatro può sostenere” spiega il bilancio 2017. Contemporaneamente il documento ammette che nonostante il forte incremento 2013-2016 dei ricavi da biglietteria (+52%) il sistema non funziona senza i soldi pubblici del ministero della cultura (18 milioni), di Roma Capitale (15 milioni) e della Regione Lazio (1,785 milioni). Rebus sic stantibus, che cosa c’è da attendersi per il 2018? I contributi pubblici sono rimasti invariati e l’Opera spera di poter migliorare ancora i suoi introiti grazie alle tournée internazionali e anche all’Opera Camion, il progetto studiato per diffondere l’amore per il genere lirico. “Per effetto della gestione sopra descritta, nell’esercizio 2018 si prevede di conseguire un ebitda (margine operativo lordo, ndr) elevato se confrontato con quello delle altre fondazioni lirico-sinfoniche italiane che dopo gli ammortamenti consentirà di conseguire un ebit (utile ante imposte, ndr) pari a circa 820mila euro confermando, dopo le partite finanziarie e le imposte, un risultato in utile anche per l’esercizio 2018” conclude il documento. Troppo poco per garantire la sopravvivenza e l’autonomia del Teatro dell’Opera che dovrà fare i conti con i progetti 2019 del nuovo governo gialloverde, preoccupato di far quadrare i conti e pronto a dolorose ma necessarie spending review.

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