Salviamo i mercati: le ricette della CNA Commercio Roma

Valorizzare i piccoli produttori, aprire allo “street food”, riqualificare le postazioni, accorpandole quando necessario: la Presidente Giovanna Marchese spiega all’Osservatorio sulla Capitale come correggere la rotta senza rivoluzioni o grandi investimenti

La crisi dei mercati rionali di Roma non sembra conoscere tregua. Sia che si tratti dei 32 mercati al chiuso che dei 38 all’aperto, sono tante le insidie che mettono in pericolo gli storici mercati romani. Una sopravvivenza che è legata sempre più a una clientela anziana, spesso intenta ad acquistare pochi articoli quotidiani. Una presenza sul territorio osteggiata dai tanti supermercati – forniti di tutto – che continuano a espandersi tra i quartieri dell’Urbe.

 

Bisogna dunque rassegnarsi all’idea che la fine del mercato rionale sia ineluttabile o si possono creare correttivi per rilanciare queste forme tradizionali di imprenditoria locale?

 

È di questo secondo avviso la CNA Commercio Roma, da anni intenta a studiare e analizzare soluzioni per correggere la rotta di un settore in costante difficoltà. Correttivi che non devono trarre spunto dai massimi sistemi bensì da interventi “di minima”, attuabili senza piani straordinari o grandi investimenti.

 

Un primo punto: “Le associazioni che gestiscono i mercati rischiano di pagare un’occupazione di suolo pubblico altissimo – spiega all’Osservatorio sulla Capitale Giovanna Marchese, presidente CNA Commercio Roma – grazie ad un’iniziativa voluta dalla Raggi, che ha quadruplicato le spese”.

 

Secondo la presidente, è necessario valutare eventuali accorpamenti con una ricognizione – municipio per municipio – di tutte le realtà mercatali.

 

Recuperare l’originario carattere di umanità e fidelizzazione territoriale

“Sul fronte degli operatori – prosegue Marchese – appare decisivo riaffermare quel carattere di umanità e di fidelizzazione territoriale, che ha reso i mercati un punto di riferimento dei quartieri di Roma. Come esempio vale la pena citare il mercato di Piazza dell’Unità a Prati, – spiega – una struttura fantastica che ha inglobato al suo interno le funzioni della piazza”.

 

Un altro intervento suggerito dalla CNA riguarda i “mercati in sede impropria”. Qui la priorità consisterebbe nell’eliminazione dei banchi fatiscenti, entro i quali non viene più svolta alcuna attività, e l’accorpamento delle singole postazioni. Una misura che valorizzerebbe di più i banchi e metterebbe ordine negli spazi cittadini, spesso occupati in maniera disordinata. Nelle situazioni più complesse – come a piazza San Giovanni di Dio e a via Orvieto – questi palliativi potrebbero creare qualche beneficio, ma occorrerebbero interventi strutturali più ingenti.

 

Diverso il discorso sui mercati coperti. In questo caso esistono alcune criticità comuni con i plateatici, come l’esigenza di ampliare le singole postazioni e di rimpiazzare – o riqualificare – quelle che hanno cessato la propria attività. Una possibilità sarebbe quella di ispirarsi all’esperienza europea dello Street Food, mercati coperti, dove è possibile assaporare piatti tipici o etnici senza spendere una fortuna. In chiave capitolina, queste realtà potrebbero risultare particolarmente redditizie nelle zone di uffici o in aree di transito: il mercato di Via Magna Grecia, a San Giovanni, potrebbe essere un banco di prova interessante.

 

La sfida delle nuove tecnologie

Ma le proposte non finiscono qui, perché la CNA sta mettendo a punto un sistema per aprire le eccellenze del mercato a tutta la comunità cittadina. “Parliamo di Bottega Digitale 4.0 – precisa Marchese – un app che metterà in contatto 5000/6000 imprese della Capitale, per individuare o consegnare a domicilio le eccellenze del territorio. Una sfida che apre le porte della tecnologia in bastioni della tradizione come i mercati rionali, dove sarà necessaria l’apertura di un back office in cui organizzare le consegne”.

“In epoca di cultura bio e vegan – conclude Marchese – i mercati rionali possono inserirsi bene nella nuova domanda dei consumatori: una sfida che non deve partire dalla concorrenza alla grande distribuzione, ma dal ritorno dei piccoli produttori nei mercati”.

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