Sindaco Roma: l’eredità difficile delle ‘’partecipate’’

La Corte di Conti certifica uno scenario a tinte fosche e accusa il Campidoglio di un controllo insufficiente.

Piazza del Campidoglio

Bilanci approvati in ritardo, società in liquidazione, progetti di rendiconto pluriennali ancora in fase istruttoria, ristrutturazioni bancarie in corso d’opera. Quanto basta per rendere difficile avere un quadro chiaro del sistema delle partecipate del Comune di Roma.

Ma il peggio è che, complice l’impatto economico del Covid, la situazione finanziaria 2020 delle partecipate pubbliche e quindi delle casse di Roma Capitale è destinata a peggiorare ulteriormente lasciando una pesante eredità al prossimo inquilino del Campidoglio.

Come se non bastasse, oltre al danno, c’è anche anche la beffa perché, come rileva la Corte dei Conti, le carenze nell’accertamento del risultato effettivo di gestione hanno finito col far saltare norme di finanza pubblica come ad esempio, l’obbligo di riduzione del 30% dei compensi degli amministratori in caso di risultato economico negativo conseguito nei tre esercizi precedenti.

Lo scenario a tinte fosche è certificato dall’Organo di revisione della Capitale, che ha messo in allerta la Corte dei Conti sui rendiconti 2018 e 2019 delle partecipate pubbliche romane e sul loro impatto sul bilncio della Capitale.

Le ragioni sono nero su bianco nella delibera 22 della Corte dei Conti, datata 10 marzo 2021: nel documento i magistrati contabili prendono atto del fatto che i revisori esprimono “perplessità sull’attendibilità dell’accantonamento riservato a fronteggiare le perdite delle società partecipate, in considerazione, tra l’altro, della mancata approvazione dei bilanci di alcuni organismi partecipati dal Comune”.

L’argomento non è da poco perché come rileva la Corte dei conti, sulla base della legge 147 del 2013, nel caso in cui aziende speciali e istituzioni partecipate dagli enti locali presentino un risultato di esercizio o un saldo finanziario negativo, è necessario che le amministrazioni locali accantonino un fondo vincolato di importo pari al risultato negativo, non immediatamente ripianato in misura proporzionale alla propria quota di partecipazione.

In questo modo, come spiegano i magistrati, il legislatore ha voluto creare una relazione diretta fra le perdite registrate dagli organismi partecipati e la consequenziale contrazione degli spazi di spesa effettivamente disponibili per gli enti proprietari per “una maggiore responsabilizzazione degli enti locali nel perseguimento della sana gestione degli organismi partecipati”. Anche attraverso accantonamenti cospicui che mettano in sicurezza i bilanci pubblici.

E, invece, nel consuntivo 2019, nonostante le difficoltà finanziarie delle partecipate, Roma Capitale ha accantonato poco più di 21 milioni, cifra leggermente inferiore a quella dell’anno precedente. Per questo la Corte ha chiesto all’amministrazione capitolina di “chiarire il percorso logico e giuridico che ha condotto a tale quantificazione, atteso che alcune società/organismi partecipati non hanno provveduto all’approvazione dei bilanci di esercizio, tra cui AMA spa anche per annualità precedenti il 2018”.

Un percorso che, per forza di cose, ha dovuto fare i conti con i mille problemi delle partecipate su cui, secondo i magistrati, non c’è abbastanza controllo da parte del Campidoglio. Di qui la richiesta della Corte al Comune di intraprendere ogni azione in suo potere per riportare alla normalità le tempistiche di approvazione dei bilanci delle partecipate. Ed aggiustare così il proprio bilancio con accantonamenti per perdite adeguati alle circostanze evitando di amplificare vecchi problemi che inevitabilmente verranno trasferiti alla futura amministrazione.

 

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