Mancano poche settimane al 21 febbraio data in cui l’amministratore delegato di Tim, Luigi Gubitosi, presenterà il nuovo piano industriale e scoprirà le carte su quali siano le sue intenzioni sulla rete. Scorporo sì o no e i termini di una eventuale fusione con Open Fiber la società della fibra di Enel e Cdp.
La novità è che dopo il decreto fiscale con cui il governo ha messo nero su bianco la possibilità di incentivare una separazione volontaria della rete o comunque imposta dall’Agcom in cambio di una remunerazione degli investimenti, in nome di una maggiore concorrenza e trasparenza, è arrivato anche l’endorsement del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, principale azionista della Cdp che ha anche il 4,2% della stessa Tim. Da Davos Tria ha spiegato che “una rete unica porterebbe efficienze al sistema e penso che il governo debba guardare con favore a un’evoluzione in quella direzione”.
Nel frattempo, dopo che l’Agcom nei giorni scorsi ha di fatto ‘bocciato’ la proposta portata avanti dall’ex ad, Amos Genish di una separazione volontaria e legale della rete, il fondo attivista americano Elliott che ha l’8,8% di Tim e che esprime 10 dei 15 consiglieri del board, ha chiesto l’apertura di un tavolo per affrontare il tema della separazione della rete. Si tratta di un punto caldeggiato dal fondo – che non vede come un tabù il fatto che Tim perda il controllo della rete se questo vorrebbe dire valorizzarla – tema cui invece si oppone fortemente Vivendi, il socio francese che pur essendo azionista con il 23,9% è in minoranza nel cda .
Sullo sfondo resta anche la contrarietà dei sindacati per i quali Tim e il governo con un’operazione del genere si troverebbero a gestire circa 20mila esuberi. Una cifra su cui i sindacati sono concordi. Tim ha circa 48mila dipendenti e in una nuova eventuale società della rete ne passerebbero circa 20mila, quelli che attualmente vi lavorano. Cosa succederebbe degli altri che resterebbero nella sola società dei servizi visto che le concorrenti Wind Tre e Vodafone Italia hanno tra i 6 e i 7mila dipendenti? Si chiedono i sindacati con particolare preoccupazioni per i posti di lavoro a Roma. Intanto la tensione all’interno del gruppo resta altissima e tra i soci Elliott e Vivendi ormai si va avanti a suon di dichiarazioni e carte bollate costate al titolo il livello più basso mai raggiunto a 0,44 euro ad azione.
La resa dei conti arriverà il 29 marzo. Si terrà infatti l’assemblea degli azionisti in cui oltre al bilancio del 2018 si dovrà discutere della revoca, proposta da Vivendi – che avrebbe voluto per questo un’assemblea straordinaria che non le è stata concessa – di 5 consiglieri in quota Elliott rei di aver violato “le più basilari e fondamentali norme di corporate governace” con altrettanti consiglieri in quota francese tra cui l’ex ad e presidente di Telecom, Franco Bernabè. All’assemblea però mancano poco meno di due mesi e le peripezie cui Tim sta abituando il suo pubblico certamente non sembrano destinate a finire.
( Ha collaborato Raffaella Bruno)