Tim: via libera alla rete pubblica dopo uscita AD Genish

Dopo l'intervento del vicepremier Di Maio il cda mette nell'angolo Vivendi e dimissiona l'amministratore delegato

Amos Genish (foto flickr @TIMnewsroom)

Nuovo colpo di scena nell’affare Tim, l’ex Telecom Italia. Il consiglio di amministrazione dell’ex monopolista ha sfiduciato l’amministratore delegato Amos Genish, fortemente voluto dal socio francese Vivendi. Inoltre il board ha temporaneamente affidato le deleghe al presidente, Fulvio Conti, e ha convocato una nuova riunione per il 18 novembre con l’obiettivo di nominare il nuovo ceo. Per l’azienda francese controllata da Vincent Bolloré si tratta di un duro colpo che segue la sconfitta nell’assemblea dello scorso 4 maggio per mano del fondo Elliott, spalleggiato dalla Cassa Depositi e Prestiti.

L’estromissione di Genish arriva peraltro nel momento in cui il vicepremier, Luigi Di Maio, ha deciso di premere sull’acceleratore per la realizzazione delle reti di nuova generazione: da un lato, infatti, il governo ha concluso con successo l’asta per il 5G, dall’altro ha intenzione di creare il contesto favorevole allo sviluppo della fibra. Del resto il Movimento 5 Stelle non ha mai fatto mistero della volontà di creare una rete unica di telecomunicazioni sostenendo un progetto di nozze fra il network di Tim e quello della rivale Open Fiber, controllata da Enel e da Cdp. Inoltre di recente il Movimento 5 Stelle ha fatto un nuovo passo in avanti incentivando le potenziali aggregazioni attraverso un regime tariffario adeguato agli investimenti necessari allo sviluppo della rete attraverso una modifica del Codice delle Comunicazioni elettroniche prevista in un emendamento nel Dl Semplificazioni. Certo si tratta di uno step intermedio che però riapre la partita grazie all’uscita di scena di Genish.

L’ad uscente di Tim aveva dichiarato di essere favorevole ad un progetto di aggregazione delle reti, ma poi aveva in più occasioni ribadito la necessità che il controllo della nuova infrastruttura restasse nelle mani dell’ex monopolista. Per quale ragione? La rete è a garanzia dell’enorme debito di Tim (25 miliardi) e quindi, secondo Genish, è un asset che Tim deve controllare. Tanto più che una manciata di giorni fa ha annunciato 2 miliardi di svalutazioni e una perdita da 800 milioni sui nove mesi del 2018. Tutto questo nonostante la società, chiamata anche a nuovi investimenti sul 5G, abbia già messo in solidarietà 30mila dipendenti.

Tuttavia l’impostazione del manager non era condivisa dagli altri soci e soprattutto non piaceva al governo che punta su una rete a controllo pubblico. Per questo fino a questo momento il progetto di aggregazione non è andato avanti. Ma ora con Genish fuori gioco e Vivendi nell’angolo, le cose potrebbero velocemente cambiare avvicinando la realizzazione del piano di separazione della rete Tim dai servizi di telefonia e poi l’integrazione con la nuova infrastruttura di Open Fiber. Due operazioni che, come temono i sindacati, non saranno indolore per i dipendenti.

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