Zingaretti, provato da dimissioni Fioramonti

La pazienza di Zingaretti ormai al limite, è stata messa, ora, a dura prova dalle dimissioni di Fioramonti

Zingaretti
Il presidente della Regione Lazio e segretario del Pd Nicola Zingaretti

 

Il segretario del Pd, Zingaretti, impegnato a difendere il patrimonio ideologico e culturale del partito. Il 13/14 gennaio un seminario pre-verifica.

La biblica “pazienza di Giobbe” è nota quasi a tutti.

La “pazienza” di Nicola Zingaretti, altrettanto famosa, e’ nuovamente alla prova dopo le dimissioni del cinquestelle ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti e la sua intenzione di costituire un gruppo esterno al M5S, sia pure appoggiando ancora il governo.

Già dalle trattative per la formazione del governo giallo-rosso, il segretario del Pd ha dovuto ingoiare vari rospi da parte dei cinquestelle pur di arrivare ad un accordo sull’esecutivo e sul programma che doveva contraddistinguere il “Conte-bis” rispetto alla precedente esperienza di governo giallo-verde.

Questa intesa è stata raggiunta solo per evitare l’accusa (in particolare sollevata da Matteo Renzi) di consegnare il Paese ai “sovranisti” di Matteo Salvini in caso di elezioni anticipate.

Ma da settembre ad oggi, Zingaretti ha dovuto fare varie concessioni ai pentastellati ed alla neonata formazione Italia Viva di Renzi, nata da una costola del Pd, per evitare di rendere ancora più accidentato il percorso, già travagliato, del governo.

Ad aggravare la situazione, già difficile sul fronte economico-finanziario (la scrittura della legge di stabilità, approvata con voti di fiducia sia al Senato che alla Camera per i tempi stretti ed anche per evitare colpi di coda, ha richiesto vere e proprie acrobazie.

In pool position: evitare l’aumento dell’iva che avrebbe significato, mediamente, maggiori spese annue per circa 550 euro a famiglia).

Ma ci si sono messe le difficoltà per far uscire dalla gestione commissariale l’Alitalia, le difficili trattative con ArcelorMittal per la gestione dello stabilimento siderurgico ex-Ilva di Taranto, il più grande d’Europa, dopo l’annuncio di recesso della conglomerata franco-indiana, poi le riduzioni di personale previste da Unicredit e, buon ultimo ma non meno grave, il caso della Banca Popolare di Bari che ha richiesto un rapido intervento governativo con l’approvazione di un decreto-legge che stanzia 900 milioni per il salvataggio del più grande istituto di credito del Sud.

Tutti questi problemi richiedono una unità di intenti da parte dei quattro partiti della maggioranza (M5S, Pd, LeU e Italia Viva). Unità di intenti che però non si verifica se non a prezzo di estenuanti trattative perché, soprattutto pentastellati e renziani, alla ricerca di visibilità (i primi perché in calo di consensi elettorali, i secondi perché, appena nati, devono mostrare che la fuoriuscita dal Pd è dovuta soprattutto a diverse visioni sulle politiche da attuare per far uscire l’Italia dalla crisi decennale che l’ha colpita), non fanno altro che mettere paletti su questa o quella misura.

A pagare soprattutto la fibrillazione creata da Luigi Di Maio e Renzi sono Zingaretti ed il suo ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, costretti a faticose mediazioni con alleati rissosi che sembrano pensare più al loro “particulare” che al bene della coalizione.

Fino a qualche giorno fa il “governatore” del Lazio ha mostrato pazienza sopportando, con molta fatica, gli strappi di cinquestelle e renziani, anche per la necessità di portare a casa la manovra e tranquillizzare così l’Europa ed i mercati finanziari.

Ma ora il leader del Pd sembra aver esaurito ogni tipo di sopportazione, anche perché i fronti aperti con grillini e Italia Viva spaziano ormai dai temi economici e finanziari a quelli più prettamente politici, quali la prescrizione e la legge elettorale da riscrivere perché il “rosatellum” mal si presta con la riforma che ha portato alla drastica riduzione di deputati e senatori (da 630 a 400 i primi, da 315 a 200 i secondi).

Da qui i continui avvertimenti che Zingaretti da un po’ di tempo sta mandando al premier Giuseppe Conte, a Beppe Grillo e Di Maio ed a Renzi.

Il segretario del Pd, infatti, non vuole stare all’infinito sulla graticola per assecondare i suoi alleati. Anche perché alle porte ci sono due importanti consultazioni regionali (in Emilia-Romagna e Calabria si voterà domenica 26 gennaio) e perderle, soprattutto in quel di Bologna, porterebbe sicuramente sconquassi a livello governativo.

Di concessioni – a giudizio del “governatore” (non dimentichiamo il braccio di ferro con la sindaca di Roma, Virginia Raggi, soprattutto per la soluzione dello smaltimento dei rifiuti della Capitale) – ne sono state fatte tante, forse anche troppe. E Zingaretti non vuole dilapidare il patrimonio culturale-ideologico, ed anche elettorale, del suo partito in nome di una governabilità sempre più difficile per le posizioni di bandiera di cinquestelle e Italia Viva.

In vista, quindi, della prossima verifica di governo (termine che non piace al premier Giuseppe Conte che preferisce parlare di confronto tra le forze della maggioranza), che si terra’ nella seconda meta’ di gennaio, il segretario del Pd ha promosso per il 13 e 14 genaio un seminario per mettere a punto le proposte programmatiche che il partito intende portare al tavolo del confronto-verifica.

Il titolo del seminario e’ “Oggi per un domani. Prima le persone, una nuova agenda di governo“. Per Zingaretti, infatti, l’esecutivo, se vuole andare avanti, deve cambiare passo. E lo deve fare da subito.

 

© StudioColosseo s.r.l. - studiocolosseo@pec.it
Il Sito è iscritto nel Registro della Stampa del Tribunale di Roma n.10/2014 del 13/02/2014