Draghi: ultima corsa per Palazzo Chigi

All’endorsement si affianca la competizione, finora nascosta, dei partiti sulle poltrone e le idee. Il presidente incaricato ha l’arduo compito di trovare la sintesi.

 

Di fronte all’ unanime accoglienza positiva riservata dai mercati finanziari, da importanti istituzioni e media internazionali, al termine della prima tornata di consultazioni, solo Giorgia Meloni se l’è sentita di dire ‘’no’’ a Mario Draghi, confermando l’obbiettivo del suo partito di elezioni subito. Pressochè tutti gli altri partiti, sia pure con alcuni distinguo, si sono dichiarati disponibili verso il presidente del Consiglio incaricato.

Ma è proprio questa corsa al consenso che potrebbe mettere a rischio la formazione del governo Draghi nella seconda fase delle consultazioni che riprendono lunedì.

La massima disponibilità senza richieste precise né veti di Matteo Salvini, ha sorpreso il Pd, che non avrebbe mai pensato di potersi trovare in un esecutivo vis a vis con la Lega, il nemico di sempre.

Per contro Beppe Grillo, con l’anticipazione di una lista delle cose da fare, difficile da non condividere, perchè riguarda temi di grande popolarità, come la transazione ecologica, la sostenibilità e un ministero per i giovani, ha prenotato per i cinquestelle un posto in prima fila nel programma che Draghi dovrà esporre in Parlamento.

Al di là degli endorsement, doverosi per la reputazione dello stesso Draghi e per la unanime richiesta di un governo forte per affrontare la lotta alla Pandemia e il disastro economico, c’è pericolo che nella seconda fase delle consultazioni i partiti si presentino con la faccia di sempre, ovvero l’un contro l’altro armati, per far prevalere le loro ‘’persone’’ nei posti di potere. E c’è chi potrebbe insistere per avere un governo con una solida maggioranza politica e chi invece si accontenterà di avere i ‘’migliori’’, politici o tecnici che siano, ai posti di comando.

Durante la seconda fase di consultazioni Draghi valuterà le ulteriori indicazioni che riceverà tanto dalle forze sindacali che dai partiti e si farà un’ idea di quanto la sua lista di ministri e le linee di fondo del suo programma dovrà essere mercanteggiata o meno coi partiti. Comunque se dovesse dubitare di avere una grande approvazione in Parlamento, non si può escludere che decida di rinunciare e rimettere il mandato nelle mani del Capo dello Stato.

La differenza con Mario Monti, in questi giorni ricordato per la sfortunata fine del suo governo di tecnici, è nelle mire e nell’ambizione che contraddistinguono i due personaggi. Mario Draghi pressochè non conosce spirito di ostentazione . Ha salito i gradini delle istituzioni nazionali e internazionali, senza mai mettersi in mostra. E’ stato sempre scelto per la sua competenza e imparzialità. Un fedele servitore dello Stato.

Nel 1992, come Direttore generale del Ministero del Tesoro, nel governo Amato, ha condiviso l’impopolare prelievo forzoso sui conti correnti per salvare la lira. Altrettanto determinato è stato quando, Governatore della Banca Centrale Europea, ha fatto digerire alla Germania il ‘’bazooka’’, ossia l’acquisto pressochè illimitato di titoli di Stato. Manovra che di fatto salvò l’Eurozona. Con questi precedenti sembra scontato che accetterà anche questo nuovo ‘’incarico’’ solo se si sentirà sicuro di poterlo svolgere nelle migliori condizioni, ottenendo dei risultati.

(Anche se dopo di lui ci sono solo le elezioni e la nascita di un nuovo governo in giugno o luglio,provocherà il rinvio delle decisioni più importanti e vitali)

 

 

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