A Roma l’obiettivo ‘zero emission’ è molto lontano

La città soffoca sotto una cappa di particolato e di ossido di azoto prodotti da auto inquinanti, che hanno un’età media di dieci anni. Tempi lunghi per la diffusione dell’automobile elettrica in mancanza di una forte volontà politica; la formula Nissan per accorciarli.

Sono prodotte in Cina, dalla Xin Da Yang, dello stesso gruppo che ha acquisito la Volvo, ma da qualche tempo sono divenute familiari nel traffico cittadino: sono le ZD1, le automobiline gialle a due posti dello Share’nGo, con cui si è affacciato a Roma in maniera percepibile il veicolo elettrico. Nonostante il gran parlare che se ne fa, infatti, finora l’automobile elettrica è rimasta a Roma, come del resto in tutt’Italia, un fenomeno che incuriosisce, ma non trova mercato, se non in qualche eccentrico che gira con la simpatica “Twizy” della Renault o nelle “Free Duck” della Ducati, usate dalle Poste Italiane.

Per una sua diffusione, come è avvenuto in alcuni Paesi del Nord Europa, Finlandia in testa, occorrerebbe che si verificassero una serie di condizioni che da noi sono oggi impensabili. “I tempi – osservano all‘ANFIA – l’Associazione Nazionale tra le Industrie Automobilistiche – non sono ancora maturi per una diffusione di massa delle auto elettriche. Il punto di svolta avverrà quando il prezzo delle auto elettriche sarà equivalente a quello delle auto a combustione interna. Pur crescendo la domanda di auto elettriche e ibride nel prossimo decennio – concludono – l’impatto sul parco circolante sarà dunque ancora molto esiguo”.

E le ragioni sono semplici: prezzi ancora troppo elevati, carenza di infrastrutture per la ricarica, scarsa autonomia delle batterie e tempi lunghi per la ricarica. Si tratta di gap che difficilmente possono essere superabili, in assenza di concreti incentivi che vadano al di là dell’esenzione temporanea dal bollo o dall’accesso garantito alle ZTL.

Inefficaci e sgraditi alla popolazione i provvedimenti di limitazione del traffico

Eppure in Italia, e a Roma in particolare, la necessità di far fronte al crescente inquinamento atmosferico è sempre più sentita, tanto più alla luce del fatto che i provvedimenti di limitazione del traffico con le targhe alterne o con le domeniche ecologiche a piedi, oltre a risultare spesso sgraditi alla popolazione, sono più utili a creare controversie e discussioni che non ad incidere positivamente sulla qualità dell’aria che, nella maggior parte delle occasioni, dati alla mano, non migliora affatto.

Nel 2016, secondo i dati ufficiali dell’ARPA Lazio, l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, nonostante una situazione climatica particolarmente favorevole per le abbondanti piogge, il limite massimo di particolato stabilito dalle norme europee (50 mg per metro cubo) è stato superato per oltre 15 giorni nell’anno in tutte le zone della Capitale, persino nelle oasi di Villa Ada e della Tenuta del Cavaliere. L’allarme rosso – oltre le 35 giornate di superamento del limite – è suonato sulla Tiburtina (ben 41 giorni) ed è stato sfiorato nelle altre zone a maggior traffico e con maggior numero di insediamenti industriali: Ciampino (35 giorni), Cinecittà (33 giorni).

Peggio era andata nel meno piovoso 2015 – definito dai Verdi di Roma “l’anno horribilis” – quando ben sei centraline (Cinecittà, Preneste, Francia, Magna Grecia, Tiburtina e Cipro) sulle tredici installate a Roma (tra le quali, stranamente, nessuna in centro) segnalarono valori superiori ai 50 mg a metro cubo per oltre 35 giorni. E i dati del 2017 non promettono nulla di meglio, dal momento che gli ultimi dati dell’ARPA segnalano già nei primi quattro mesi dell’anno il superamento della soglia oltre dieci volte a Tiburtina, Ciampino, Magna Grecia e Cinecittà.

Altrettanto preoccupante, anche se se ne parla meno, è la situazione dell’altro inquinante di cui l’auto porta responsabilità: l’ossido di azoto (NO2) venuto alla ribalta con la manomissione delle centraline da parte della VW sulle auto vendute in USA.

Sempre secondo i dati dell’ARPA ben sei centraline, delle tredici installate, hanno segnalato nel 2016 un superamento della media annua fissata dall’Unione Europea in 40 mg a metro cubo: il record a Fermi e Magna Grecia con 65 e 62 mg.

Un parco circolante di un milione settecentomila vetture di cui solo il 20% è Euro5

La situazione, insomma, è grave e, anche se la responsabilità dell’inquinamento atmosferico è attribuibile solo per un quinto all’auto e per il resto al riscaldamento e all’industria, qualcosa occorre pur fare. Ma la soluzione non è semplice e non può essere affidata ad una miracolistica prospettiva dell’auto elettrica.

Nella provincia di Roma (dati ACI) circolano oltre due milioni 700mila autovetture, di cui circa un milione 700mila – si stima – nell’area di Roma. Di questa spaventosa massa di circolante (oltre 60 auto per cento abitanti), solo il 20 per cento è classificata Euro5 e solo il tre per cento Euro6. Il parco circolante, insomma è vecchio – mediamente ha oltre dieci anni di età – e non risponde ai moderni requisiti antinquinamento. Passato il momento degli incentivi alla rottamazione, tutto si è fermato, mentre è sul rinnovamento del parco che – secondo gli esperti – occorrerebbe agire in prima istanza.

Per restare sull’elettrico, Roma detiene comunque il record in Italia con un quinto del parco circolante (19,2 per cento) davanti a Milano (10,8), Bolzano e Trento (6 per cento). È però un record simbolico, che mostra la sensibilità dei cittadini al tema, ma che in termini pratici si traduce solo in circa settecento vetture sulle 3.500 circolanti in tutt’Italia.

Incentivi, colonnine e politiche locali per passare dai sogni alla realtà

Come passare dai sogni alla realtà e sviluppare realmente l’elettrico lo dice la Nissan, il gruppo giapponese che crede fermamente nell’auto a zero emissioni e che per primo e prima degli altri ha investito massicciamente nel settore, con quattro miliardi di dollari in ricerca e sviluppo. La Nissan ha introdotto da anni sul mercato mondiale la “Leaf”, prima auto elettrica a vocazione familiare, con 250 Km di autonomia, che già circola ovunque (ma poco o nulla in Italia) in 250mila esemplari. La circolazione di queste vetture – affermano orgogliosamente alla Nissan – ha comportato finora un risparmio di 370mila tonnellate di CO2, pari a quanto avrebbero fatto 28 milioni di alberi.

La formula Nissan per lo sviluppo dell’auto elettrica in Italia passa anzitutto da incentivi all’acquisto o defiscalizzazioni (IVA al 4 per cento, esenzione dal bollo, ecc.), così come previsto nella maggior parte dei Paesi UE. Prosegue con una rete di ricarica efficiente (l’Enel, in realtà, ci sta lavorando) che avvicini l’Italia, che dispone di circa 3.700 punti di ricarica, alla Francia e al Regno Unito che ne hanno diecimila, se non ai Paesi Bassi che, sebbene di minor dimensione, ne hanno ben 19.000. Infine è necessaria una razionalizzazione e omogeneizzazione delle politiche di mobilità elettrica a livello locale.

Nissan a parte, comunque, tutte le case automobilistiche – se si esclude il fenomeno finora elitario della Tesla – lavorano sull’elettrico con convinzione, ma in una prospettiva di pieno sviluppo per il 2.030. Se i nostri polmoni reggeranno.

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