Acea: Raggi, pressing sui vertici e il capitolo acqua

L’intervento sulle partecipate comincia con la mega utility

La rivoluzione delle partecipate del comune di Virginia Raggi è partita subito. Ancor prima della formazione della giunta. Intervenendo sull’Acea, la mega utility romana, più che lamentarsi delle nomine fatte in extremis, Raggi ha voluto dare un segnale di massima attenzione sia verso la qualità dei servizi forniti ai cittadini, che alla resa economica degli investimenti del Comune. Per questo, come risulta a Radiocolonna, i vertici Acea sarebbero finiti sotto il pressing della Raggi. D’altronde lo aveva promesso in campagna elettorale: se eletta bisognerà cominciare a mettere mano a tutto ciò che incide sulla qualità della vita e le tasche dei romani, a partire dal mega debito, che grava sulla Capitale. E anche dall’ ’acqua che secondo la Raggi è un bene pubblico e tale deve rimanere, come dimostra il referendum del 2011, quando 27 milioni di italiani riconobbero l’acqua come bene fondamentale.

 

Pochi giorni fa il sindaco a Cinque Stelle ha infatti pubblicato su Facebook un post in cui dava conto dell’invio ai vertici di Acea di una lettera contenente “richiesta di chiarimenti” in merito ad alcune recenti nomine. Quali? Nel mirino dell’avvocatessa romana sono finiti alcuni incarichi dirigenziali, affidati a ridosso del ballottaggio del 19 giugno che ha portato Raggi in Campidoglio. Nomine che hanno insospettito il neosindaco, che ha chiesto all’azienda di poter visionare i curricula dei neo dirigenti, quelli di Roberto Piermatti e Maurizio Sandri su tutti. Perché il sindaco “ha il diritto e il dovere di valutare il metodo che i vertici di Acea applicano nella gestione della multiservizi”, ha scritto Raggi su Facebook. Fonti dell’Acea fanno notare come si tratti di “normali avvicendamenti”. Ma perché tanta preoccupazione per quella che appare a tutti gli effetti come una semplice richiesta di chiarimenti da parte dell’azionista di maggioranza? Per capirlo bisogna fare un passo indietro. Perchè l’azienda in questione non è la classica municipalizzata del comune dove c’è un unico azionista a dettare le regole. Ci sono diversi fattori che fanno di Acea un’azienda ben diversa dalla varie Atac e Ama.

 

Oltre ad essere quotata in Borsa, dunque estremamente sensibile a dichiarazioni relative al management e all’assetto proprietario, Acea vanta una solida compagine privata, con alcuni soci di primo rilievo nel panorama nazionale e internazionale. E, come detto, si tratta dell’utility incaricata di fornire servizi essenziali per un cittadino, come l’acqua e la luce. La maggioranza è in mano al comune ma il 15,8% del capitale fa capo al costruttore Francesco Gaetano Caltagirone, editore de Il Messaggero e del Mattino di Napoli. Un’altra fetta (12,4%) è in mano ai francesi di Gdf-Suez, gigante dell’energia, mentre una piccola quota del 2% è detenuta dalla norvegese Norges Bank. Il restante 18% è invece in mano al mercato, dunque ai piccoli investitori. La struttura azionaria “privata” è dunque piuttosto robusta ed ecco spiegata parte della preoccupazione che, dicono i ben informati, in questi giorni si respira in Acea. I soci, quelli privati, temono troppa ingerenza sui vertici.

 

Quanto alla composizione del board, oltre al presidente Catia Tomasetti e all’ad Arberto Irace, nominato sotto la giunta Marino e ai consiglieri espressione del Comune, attorno al tavolo siedono lo stesso Caltagirone e Angel Simon Grimaldos, rappresentante dei soci francesi di Gdf-Suez. Tutti in scadenza il prossimo anno, quando l’assemblea dovrà nominare i nuovi vertici. Ma fonti vicine al Movimento 5 Stelle ritengono molto probabile ricambi al vertice prima della scadenza naturale del mandato. Addirittura, viene confidato, il presidente Tomasetti starebbe cercando di tenere con le unghie e coi denti il proprio posto, che invece la Raggi vorrebbe mettere in discussione. Ma mandare via il management prima della fine del mandato potrebbe costare caro a Raggi, come insegna il caso  dell’ex presidente di Acea, Giancarlo Cremonesi, rimosso da Marino a mandato ancora in corso e che per questo ha ottenuto dal tribunale del Lavoro un risarcimento di circa 800 mila euro.

 

Ma non c’è solo il “blocco privato” a rendere più delicato e difficile un eventuale riassetto di Acea. Come detto l’azienda, che oggi conta quasi 4.700 dipendenti, di cui 3.600 uomini e oltre 1.000 donne, fornisce servizi di primo ordine a 8,5 milioni di abitanti tra Lazio, Toscana e Umbria, che ne fanno uno dei principali distributori di energia nazionali, con un fatturato (dati 2015) che sfiora i 3 miliardi. Non solo. Il solo comparto “acqua” costituisce per Acea quasi la metà del margine operativo totale, con oltre 310 milioni sui 700 complessivi. Dunque una delle principali fonti di introiti oltre che un argomento particolarmente sensibile, come dimostra il referendum sull’acqua pubblica del 2011, che per Raggi è un punto fermo. “Lo abbiamo detto e ripetuto più volte: ci batteremo con ogni mezzo per difendere il nostro 51% e l’acqua come bene pubblico essenziale, nel rispetto del referendum del 2011”, ha scritto Raggi sul social network (Gianluca Zapponini)

 

 

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