”Si vota per i sindaci e non per il governo”. Questo aveva detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, prima del voto per le amministrative. E su questo si è attestato commentando i risultati elettorali di Roma e del resto d’Italia. Ma se l’assunto risponde a verità, è altrettanto vero che un significato politico questa consultazione l’ha avuto e non e’ proprio soddisfacente per il premier a pochi mesi dal referendum sulla riforma costituzionale sul cui esito sono legate le sorti del governo.
Il voto, infatti, ha testimoniato lo scarso appeal dei partiti tradizionali nei confronti dell’elettorato che in larga parte ha preferito disertare le urne oppure indirizzare il suo consenso verso il M5S o altri partiti che hanno sposato la protesta nei confronti del governo e delle istituzioni in genere. Questo è valso soprattutto a Roma, dove – se si sommano i voti raccolti dalla grillina Virginia Raggi, approdata al ballottaggio del prossimo 19 giugno con largo margine nei confronti di Roberto Giachetti (Pd), con quelli di Giorgia Meloni (Fdi-Lega) – il fronte più antigovernativo ha superato il 50% dei suffragi. Un risultato non indifferente se si pensa che alle elezioni europee del 2014 il Pd, da solo, nella Capitale aveva raccolto il 43,07% dei voti (26,26% nel 2013 con il ”vituperato” Ignazio Marino).
Alla luce dei risultati di Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna e degli altri comuni, Renzi ha quindi affermato, a proposito del Pd, che ”noi non siamo contenti” e di ”non essere soddisfatto”, anche ”se luci ed ombre” interessano tutti i partiti, dal M5S alle formazioni del centrodestra. Il voto non buono conseguito dal partito (che Renzi spera di ribaltare nei ballottaggi) ha fatto insorgere i malumori dell’opposizione interna (Roberto Speranza ha ribadito che al Partito Democratico serve un segretario a tempo pieno) e creato preoccupazione nei renziani di più stretta osservanza per quello che sarà il risultato del referendum di ottobre. Se prevalessero i no, infatti, il governo – come affermato a più riprese dal presidente del Consiglio e dalla ministra Boschi – farebbe le valigie e le sorti della legislatura sarebbero a rischio.
Ma se Renzi non ride anche Silvio Berlusconi non se la passa bene. Il voto romano ha ridotto ai minimi termini il suo partito ed ha accentuato le polemiche con Lega e Fratelli d’Italia. Matteo Salvini e la Meloni – ed i loro sostenitori – hanno buon gioco a rimarcare che, se il centrodestra fosse stato unito nella Capitale come a Milano, sarebbe arrivato al ballottaggio estromettendo il candidato renziano dalla competizione per il Campidoglio. Ma al di là del risultato delle urne, torna in gioco il problema della leadership nazionale. L’ex ”cavaliere”, infatti, esce con le ossa rotte dal confronto con il duo Salvini-Meloni ed anche dalle fila di Fi c’è chi afferma che bisogna ridisegnare un nuovo centrodestra non più a misura dei soli voleri di Arcore.
Concludendo, bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto per Renzi, ma lo stesso vale per Berlusconi. Giuseppe Leone