Il voto dei ballottaggi di domenica 24 giugno ha sottolineato quello che si era gia’ evidenziato nelle elezioni politiche dello scorso 4 marzo che hanno portato, dopo un lungo travaglio, alla nascita del governo giallo-verde di Giuseppe Conte formato da M5S e Lega: non esistono piu’ le regioni rosse. Sin dalle prime consultazioni del dopoguerra, le regioni dell’Italia centrale – Emilia Romagna, Marche, Toscana ed Umbria – sono state un serbatoio di voti per la sinistra, sia a livello politico che amministrativo; da queste zone arrivava larga parte della classe dirigente del Pci e della Cgil. Anche il Pd ante 4 marzo, aveva avuto ai suoi vertici prima Dario Franceschini (Romagna), poi Pierluigi Bersani (Emilia) e Matteo Renzi (Toscana).
Il voto di questo turno di amministrative ha spazzato via tutto. Le citta’ rosse per antonomasia -pensiamo a Pisa, Massa, Siena – e importanti comuni come Imola ed Ivrea, che avevano sempre avuto sindaci espressione della sinistra o del centrosinistra, hanno voltato le spalle alla tradizione e votato per la Lega, che ha fatto da traino al centrodestra, o per i cinquestelle.
Stranamente, in questo crollo verticale della sinistra, a Roma e nei comuni della provincia la coalizione di centrosinistra ha tenuto, anzi, nella Capitale dove si e’ votato in due municipi – il III (Montesacro) andato al ballottaggio, e nell’VIII (Garbatella) – in precedenza governati dal M5S, Pd ed alleati sono riusciti ad aggiudicarsi le due amministrazioni che, per numero di abitanti, equivalgono a importanti capoluoghi di provincia. Come detto, anche nei comuni della provincia il centrosinistra ha retto bene all’onda d’urto del centrodestra e dei pentastellati. Fiumicino e Velletri hanno votato per la continuita’ delle amministrazioni di sinistra. Stessa cosa ha fatto Pomezia, governata dai cinquestelle e rimasta sotto la loro guida.
Certo, sul voto di domenica ha pesato molto l’astensione. A livello nazionale si e’ recato alle urne solo il 47,6% degli aventi diritto. Nel III Municipio, poi, ha votato solo il 20,1%: in pratica e’ andato ai seggi solo un elettore su cinque. Veramente poco.
Ora sono in molti a domandarsi cosa succedera’ a livello nazionale. La Lega, dopo le vacanze, fara’ in modo che il governo entri in crisi per andare alle urne la prossima primavera? La tentazione e’ forte perche’, trascinato dall’exploit leghista, il centrodestra potrebbe superare ampiamente la soglia del 40 per cento ed avere una maggioranza alquanto solida in Parlamento.
Ed il M5S quali contromisure assumera’ per arginare lo strabordare del Carroccio? Ed infine il Pd, il grande malato di questi ultimi anni (dal voto sul referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 a quello di domenica scorso), che cosa fara’ per frenare la continua perdita di consensi che dalle Europee del 2014 ad oggi si sono piu’ che dimezzati? Per ora la confusione regna sovrana sotto il cielo e c’e’ gia’ chi parla della necessita’ di cambiare tutto, perfino il nome della formazione politica. Vedremo che cosa succederà nei prossimi giorni.