Che senso ha chiudere i nasoni?

Vittorio Emiliani, dalle pagine del Corriere della Sera, dimostra come il problema della siccità non possa essere risolto con la chiusura delle celebri fontanelle

Nasoni di Roma
Nasone di Roma

Vittorio Emiliani per Il Corriere della Sera Roma

 

Ma davvero si può ridurre ai Nasoni la grande questione dell’acqua a Roma? Diffondono appena l’1,1 per cento dell’acqua messa in rete dall’Acea. In una città con milioni di turisti (per non parlare dei più poveri), chiudere del tutto i Nasoni vorrebbe dire eliminare un autentico servizio sociale. Ora si pensa di bloccarne una metà. Non era meglio ridurne il flusso o chiuderli di notte? Fra l’altro Roma, a parte alcune piazze storiche e la surreale piazza San Silvestro, non offre più gratis nemmeno una panchina. Bisogna pagare tutto. Torniamo all’acqua.

 

L’appello delle autorità capitoline per ridurre i consumi domestici sono sacrosanti, ma non intaccano a fondo i problemi veri dell’acqua. Infatti nelle case italiane (e romane) si consuma soltanto il 15 per cento di tutta l’acqua erogata. Inoltre siamo già scesi in media da 206 litri/abitante al giorno a 160-180 litri (-15 %). A Roma i consumi domestici sono sempre stati più alti, anche a causa delle basse tariffe che incoraggiavano lo sciupio. Tasto dolente: l’acqua potabile (compresa depurazione e rete fognaria) è sempre costata poco. Qui e altrove. È vero che di recente le società acquedottistiche private hanno troppo inasprito le tariffe. Però in media siamo ancora bassi. Poi, certo, ci sono le perdite delle reti, tuttavia bisogna avere i capitali per rifare le condotte. Secondo statistiche di Hera, a Berlino si pagano 975 euro per 200 metri cubi di acqua, un’enormità, a Parigi 599, a Bruxelles 572, a Varsavia 531, a Barcellona 462, a Roma 204. E i consumi?

 

I berlinesi si fermano a 124 litri al giorno per abitante, a Bruxelles e a Barcellona a 127-128, a Roma essi risultano doppi: 200-250 litri a testa. Tuttavia, insisto, i consumi di acqua potabile costituiscono la quota minore. È giusto insistere sui risparmi, senza però aspettarsi chissà quali economie di scala. Grandi consumatrici d’acqua in Italia sono infatti l’energia e l’industria, e ancor più l’agricoltura col 60 per cento e oltre. Il 28,5% della superficie irrigata è coltivata a mais da granella. E qui sorgono i primi dubbi: è conveniente? Poi emergono dalle superfici irrigate gli erbai e le altre foraggere avvicendate (14,4%). Altri seri dubbi: con queste materie prima si alimentano gli allevamenti, dove, per produrre una bistecca da 300 grammi, ci vogliono 1.000 litri d’acqua. È sostenibile tutto ciò? Per una sana dieta mediterranea sono da incentivare ortaggi e frutti tradizionali del nostro territorio.

 

Grandi consumatori di acqua, con effetti negativi sul suolo, sono purtroppo i Kiwi di cui siamo diventati i primi produttori dopo la Cina. A quale prezzo? Bisogna depurare, riciclare e stoccare maggiori quantità di acqua non sprecando quella potabile per usi industriali o irrigui. Bisogna passare dalla irrigazione diffusa (col caldo l’acqua di superficie evapora subito) a quella sotterranea, a goccia. Lo si sta facendo nel territorio romano-laziale? Spero di sì. Altrimenti l’agricoltura sarà sempre più la vittima di se stessa.

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