“Roma oggi è una città povera di relazioni, quindi povera di capacità di integrazione”. Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, comunica tutta la sua amarezza di studioso e di romano quando prende il microfono e inizia a parlare nel corso di un convegno della facoltà di Sociologia dell’università ‘La Sapienza’ dedicato ai problemi dell’immigrazione.
C’è, a Roma, dice De Rita, una “carenza della cultura della relazione, che invece dovrebbe essere caratterizzante delle società complesse”. “Il problema dell’immigrazione, è un problema di relazione”. Capacità di relazione intesa a tutto tondo: umana, sociale, culturale, economica, politica in senso ampio. Roma, considera amaramente De Rita, non ha niente di tutto questo, e forse non l’ha mai avuto. Il confronto con Milano è impietoso. Milano, infatti “è una vera capitale”. La città Lombarda è diventata polo attrattivo per tutto il Nord, proprio grazie alle relazioni sviluppate con tutto il territorio circostante. “Roma città metropolitana è invece una finzione: le relazioni di Roma finiscono a Monterotondo”. Non esistono infatti, secondo De Rita, “relazioni di prossimità”; di più, Roma “non è capace di relazioni nemmeno con sé stessa. Il centro storico è disseminato di low cost e jeanserie”, mentre gli altri quartieri sono ripiegati su sé stessi, creando così una “città di isole assolutamente non collegate, al cui interno non ci sono nemmeno gruppi sociali ben definiti”.
Ecco dunque un nodo quasi inestricabile per una corretta integrazione dell’immigrato. “L’integrazione è fatta di relazioni e come può un immigrato integrarsi se queste relazioni non esistono?”. Semplicemente “non sai come e dove integrarlo: dove lo metto? Che gli faccio fare? Al massimo, il lavapiatti…”.
Perché sia successo che la capitale sia diventata un soggetto “non espansivo e a bassa relazionalità” il sociologo non sa dirlo. Da questo quadro, però, nascono molte storture, i problemi che vediamo tutti i giorni “che si vogliono risolvere al grido di ‘facciamoli marcire in galera’!”: una frase “non solo brutta ma culturalmente incapace di risolvere la questione generale”.