E’ morto Stefano Rodotà. Ne ha dato notizia Repubblica.it. Il giurista aveva 84 anni. “Ricordo Stefano Rodotà grande giurista, intellettuale di rango, straordinario parlamentare. Una vita di battaglie per la libertà”. Lo scrive su twitter il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni.
Era nato a Cosenza il 30 maggio del 1933, negli anni del fascismo. Il padre, insegnante di matematica di origine albanese poi iscritto al Partito d’azione insegnava alle medie, dava ripetizioni a Giacomo Mancini, il futuro leader socialista. “La politica, insieme allo studio, è sin da subito una passione divorante – scrive Repubblica – Nel 1953 approda a Roma per laurearsi in legge. Dice no a un’offerta di Adriano Olivetti, che lo vorrebbe con sé ad Ivrea, e che gli accrediterà comunque, come sostegno per i suoi studi, 300 mila lire sul conto corrente. Prima dei quarant’anni è già ordinario, insegna diritto civile alla Sapienza, ma l’impegno accademico è sempre intrecciato con quello politico; milita nei Radicali, scrive sul “Mondo” di Pannunzio – a 22 anni il primo articolo finisce in prima pagina – dopo che da ragazzo aspettava ogni settimana impaziente l’uscita del numero in edicola. E’ Elena Croce, la figlia di Benedetto, nel cui salotto conosce Klaus Mann e Adorno, a introdurlo. “Non c’è un giorno nel quale non abbia preso un libro in mano”, dirà. E’ tra i primi professori a scrivere regolarmente sui giornali, sin dai primi anni Settanta, quando le tribune dei giornali erano scansate dagli accademici. Con la nascita di Repubblica inizia un’importante
Insegna a Oxford, in Francia, in Germania, negli Stati Uniti, viaggia incessantemente, l’altra sua passione è la buona cucina, da gourmet, “l’investimento per una buona cena non va considerato di serie B rispetto a un libro o a un disco”, dirà.
Nel ’79 entra in Parlamento, ma a sorpresa rifiuta l’offerta dei radicali (“l’unico partito al quale sono mai stato iscritto”), e si candida come indipendente di sinistra nelle liste del Pci. A Pannella, che quell’anno aveva convinto Sciascia a candidarsi, preferisce Berlinguer. Sono anni difficili, il terrorismo mette a dura prova la tenuta delle istituzioni. Quando il Pci voterà a favore delle leggi emergenziali di Cossiga, Rodotà si smarcherà. Vi rimarrà fino al 1993 quando si dimetterà, a sorpresa, dopo essere stato eletto vicepresidente della Camera. Scrive: “La mia non è una ritirata, né un rifiuto sull’aria “ingrata politica non avrai le mie ossa”. I tempi sono così pieni di politica che nessuno può tirarsene fuori con un gesto o una parola”. La Seconda Repubblica lo vede quindi fuori dal Palazzo, e con più forza, con meno vincoli. Nel 1997, durante il primo governo Prodi, diventa Garante della Privacy, “il signor Riservatezza”, ruolo che regge con equilibrio fino al 2005, in un momento storico in cui, grazie all’esplosione della rete, ogni certezza sui dati personali sembra saltata. Riceve 80 ricorsi al giorno. Interviene, guida, spiega con mano ferma temi che aveva iniziato a studiare sin dai primi anni Settanta”.