Elezioni, Renzi si dimette da segretario Pd

Ma solo dopo formazione del nuovo governo. In conferenza stampa la conferma del segretario del Pd: “noi resteremo all’opposizione”

“E’ ovvio che io debba lasciare la guida del Partito Democratico“. Lo dice il segretario Matteo Renzi dopo il disastro elettorale. Ma il via a un nuovo congresso avverrà dopo l’insediamento del nuovo governo. Ma dà già una risposta ai Cinquestelle, primo partito e primo gruppo parlamentare: “Resteremo all’opposizione, così come hanno voluto gli elettori”. Spiega meglio: “Abbiamo detto in campagna elettorale no a un governo con gli estremisti e noi non abbiamo cambiato idea, non stavamo scherzando”. Tre elementi, dice, “ci separano da Salvini e Di Maio, il loro antieuropeismo, l’antipolitica e l’utilizzo dell’odio verbale. Se siamo mafiosi, corrotti, impresentabili, con le mani sporche di sangue, sapete che c’è? Fate il governo senza di noi, il nostro posto è all’opposizione“. Più chiaramente: “Il nostro posto in questa legislatura è all’opposizione. Lì ci hanno chiesto di stare i cittadini italiani e lì staremo. Il Pd è nato contro i caminetti, non diventerà la stampella di forze antisistema. Si parla spesso di forze responsabili. Saremo responsabili e la nostra responsabilità sarà di stare all’opposizione”.

E così la notizia delle dimissioni Renzi che stava circolando da questa mattina registrando stupore e perplessità alla sede del Partito democratico é arrivata nonostante una prima smentita da parte del portavoce Marco Agnoletti “Dimissioni? “A noi non risulta”, aveva detto.

Oggi pomeriggio l’intervento al Nazareno dell’ex premier, nei giorni scorsi, aveva detto che qualsiasi fosse stato il risultato sarebbe rimasto alla guida del partito fino al 2022. “Comunque vadano le elezioni, resterò segretario del Pd fino al 2021. Sono le primarie a decidere il segretario” le parole dell’ex Rottamatore tre giorni fa.

Intanto restano i numeri. Terribili. Un Pd sotto la soglia del 20% non si era mai visto in precedenza e rappresenta la colpa massima di un segretario che solo quattro anni fa, alle Europee del 2014, era riuscito a portare il partito sopra il 40%. Certo, il confronto è azzardato: si tratta di consultazioni profondamente diverse per interesse e natura, ma il drammatico dimezzamento del consenso resta. Ed è tangibile anche se paragonato al risultato di Renzi al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, dove comunque – nonostante la debacle – il fronte del Sì si era attestato a poco meno del 40%. Per tutti, del resto, la sconfitta di oggi è figlia di quella di due anni fa. All’epoca Renzi si dimise da premier, oggi la naturale conseguenza è che si dimetta da segretario. Si vedrà. Magra consolazione: Renzi per la prima volta è stato eletto in Parlamento. Nella sua Firenze, l’ex Rottamatore ha ottenuto quasi 110mila preferenze, conquistando il seggio al Senato anche se in una regione che si è risvegliata non più rossa come prima e con la Lega (e il M5s) che continua a prendere terreno e voti.

“Come sapete e come è doveroso – ha detto Renzi tra l’altro – mi pare che abbiamo riconosciuto con chiarezza che si tratta di una sconfitta netta, una sconfitta che ci impone di aprire una pagina nuova all’interno del Pd”. L’assemblea nazionale del Pd, spiega meglio, sarà convocata “al termine della fase di insediamento del nuovo Parlamento e della formazione del governo”. Renzi rifiuta l’ipotesi di “un reggente scelto da un caminetto, sì a un segretario scelto dalle primarie. Lo dico con grande rispetto e amicizia ai miei amici dirigenti del Pd”. Quindi non ci sarà un traghettatore, come era avvenuto con Franceschini dopo le dimissioni di Veltroni e con Epifani quando lasciò Bersani.

Nessuna fuga, assicura. “Farò un lavoro che mi affascina: il senatore semplice, il senatore di Firenze, Scandicci, Signa e Impruneta“. Renzi ha ammesso che “abbiamo compiuto errori: il principale è stato non capire che è stato un errore non votare in una delle due finestre del 2017 in cui si sarebbe potuta imporre una campagna sull’agenda europea”. L’altro errore è stato essere stati in campagna elettorale “fin troppo tecnici, non abbiamo mostrato l’anima delle cose fatte e da fare”.

“Oggi la situazione politica è che chi ha vinto politicamente le elezioni non ha i numeri per governare, e chi è intellettualmente onesto dovrebbe riconoscere che questo problema nasce dalla vicenda referendaria. Paradossalmente si è molto discusso di personalizzazione ma non di come oggi” quelli che contestavano la riforma costituzionale “sono vittime per prime esse stesse dei loro marchingegni e della loro scelta di contestare”.

 

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