Ignobili insulti social ai giovani di Corinaldo

Uccisi due volte. Parla la dottoressa Eleonora Manna: i ragazzi assumono un duplice comportamento, uno per la vita “reale” e un altro per quella online

La vicenda è nota. Tristemente conosciuta. Cinque ragazzi minorenni e una mamma di uno di loro, sono deceduti durante il concerto del cantante Sfera Ebbasta. Un avvenimento inconcepibile. Spiazzante. Una storia che dovrebbe portarci a un assoluto silenzio. Un composto senso di pianto, misericordia e vicinanza alle famiglie.
E invece no. Perché questa è una società che sta partorendo dei mostri. Individui disumani e disumanizzati.
Anime nere che non conoscono alcuna forma di rispetto, gentilezza d’animo, pietas ed empatia.

E così, mentre le famiglie piangono inconsolabilmente, sui social altri coetanei invece di interrogarsi sull’ineluttabilità, fragilità e precarietà dell’esistenza, danno sfogo a tutto il loro disagio. Alla loro miseria.

Sì perché, su Facebook e Instagramm, nei profili delle vittime di Corinaldo, sono stati pubblicati dei commenti aberranti. Ignobili. Messaggi inenarrabili di scherno e derisione. “Che gli scrivete a fare, mica possono leggere. Sono morti!”, scrive uno. Altri, invece, utilizzano un’immagine di un ragazzo deceduto per commentare con: “Quando diventi influencer da morto”.

E poi insulti, parolacce, fino alle bestemmie. Uno show tragico. Ingiustificabile. Ineluttabile.
Un circo vuoto che sconvolge, indigna e fa urlare di rabbia. Un abisso nel quale non avremmo mai voluto scendere per esserne spettatori, cronisti e testimoni. Perché li hanno uccisi due volte. E, questa volta più crudelmente. Drammaticamente.

Con il cuore scarnificato, abbiamo provato a rintracciarne una spiegazione. Ci ha aiutati, in questo, la dottoressa Eleonora Manna, psicologa e psicoterapeuta che all’argomento ha dedicato parte dei suoi studi.

“Purtroppo – ci avverte- assistiamo quotidianamente a queste dinamiche anche se in fenomeni di minore rilevanza o di impatto emotivo. Prima di tutto dobbiamo prendere consapevolezza che siamo difronte a una problematica sociale e a una comunicazione, malata, di tipo istintuale”.

I social come discarica di impulsi
“Protetti dalla mancanza di una regolamentazione seria che punisca tali azioni, i ragazzi sono quasi legittimati ad utilizzare i social come una scarica o una discarica di impulsi aggressivi che, altrimenti nella vita di tutti i giorni, non potrebbero sfogare”.

In America la studiavano già diciotto anni fa
“Quando diciotto anni fa sostenni la mia tesi di laurea su questo argomento, esisteva solamente una letteratura scientifica americana che analizzava il fenomeno. Si parlava, già allora, di una psicopatologia online. Questi studi, portati avanti solamente nel contesto statunitense, facevano riferimento a comunicazione patologica, caratterizzata dall’anonimato nella quale gli utenti utilizzavano i social come canali di sfogo delle proprie frustrazioni”.

Una scissione della personalità
“L’aspetto clinicamente preoccupante è che queste dinamiche, alla lunga, possono portare a una scissione mentale di alcuni soggetti. Individui che assumono un duplice comportamento: uno per la vita ‘reale’ e un altro per quella virtuale. Sviluppano una sorta di disturbo e dissociazione che li porta a perdere il contatto con la realtà”.

Si perde il piano della realtà
“Alcuni sostengono che siano meno pericolose queste dinamiche piuttosto che, solo per fare un esempio, quelle dell’andare allo stadio per picchiare qualcuno. In realtà, però, i due fenomeni sono totalmente differenti e non equiparabili. Paradossalmente, da un punto di vista psichiatrico e psicopatologico, è più comprensibile sfogare fisicamente la propria rabbia. E’ lapalissiano che l’ utilizzo della propria fisicità sia sempre l’espressione di un distorto equilibrio psicologico ma si è ancora su piano di realtà o di oggettività. Viceversa, l’aggressività online, testimonia la creazione di due distinte e separate personalità. Da un punto di vista clinico questa dicotomia è più “pericolosa” e malata. Negli Stati Uniti, studiando il fenomeno da molti anni, esistono già delle terapie ad hoc. In Italia, assistendo adesso a questa forma di psicopatologia virtuale, siamo indietro nelle azioni di contrasto”.

Io stessa conosco…
…delle persone che hanno una espressività e un comportamento totalmente differente. Fra il leggerli sulle piattaforme sociali e il parlarci de visu, c’è un abisso incolmabile. Parlo di persone cosiddette normali e, già questo, è sufficiente per farci riflettere. Alla base di tutto c’è una sorta di dipendenza dal virtuale che in alcuni soggetti può diventare rischiosa”.

Il mio augurio è che anche in Italia si affronti seriamente questa problematica e che si agisca, subito, anche sul piano legale e giuridico.  Queste dinamiche, da medico, non mi stupiscono ma vanno arginate e combattute”.

 

 

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