Il silenzio di Abram, mio padre dopo Auschwitz

Intervista a Marcello Kalowski

“Un libro sulla vita”. Così Marcello Kalowski descrive “Il silenzio di Abram. Mio padre dopo Auschwitz”, l’opera che presenterà alla Feltrinelli di Piazza Colonna martedì 27 gennaio alle ore 18. “Il mio non è un libro sull’olocausto nel senso comune del termine, non è l’ennesima descrizione degli orrori del lager, Auschwitz c’è, incombe, ma è appena sfiorata. Il mio, paradossalmente, è un libro sulla vita, su quello che, prima della guerra, del ghetto, di Auschwitz, è stato l’unico, breve scorcio di vita vera di un adolescente ebreo nella Polonia degli anni trenta prima che il suo mondo deflagrasse; ed è un libro sull’esistenza che questo giovane sopravvissuto ha cercato di costruirsi dopo la guerra qui tra di noi, in Italia, in una quotidianità che è assolutamente uguale a quella che tutti noi dobbiamo affrontare, in luoghi che tutti conosciamo (i castelli romani, Roma, Merano, la Sicilia) sicuramente più familiari di quei luoghi situati nelle steppe dell’Europa orientale dai nomi spesso impronunciabili”, spiega a Radiocolonna.it Kalowski.

“Familiarità che forse aiuta a rendere la vicenda più vicina e comprensibile, ad osservarla con meno distacco. Esistenza che quel giovane sopravvissuto ha affrontato con coraggio e determinazione, sicuro di riuscire a costruirsi un nuovo inizio, senza sapere che le scorie rilasciate da quella mostruosa macchina di morte continuavano ad agire minandone il corpo e l’anima; e alla fine ‘il male’, sotto forma di una depressione devastante con tendenze suicide, si è manifestato, e quest’esistenza è stata rifiutata, messa da parte, considerata ‘la protesi di una vita brutalmente amputata’ (mi cito)”, racconta ancora l’autore.

Il libro viene presentato il 27 gennaio, giorno della Memoria, ma cosa significa questa ricorrenza per l’autore? “Paradossalmente non ha un gran significato, almeno finché non si riconoscerà il valore insostituibile che la memoria dovrebbe avere nella nostra vita e nella società. Il problema è che noi confondiamo la memoria con il ricordo: la memoria non è comunicazione ma conoscenza, non è un semplice valore culturale, concettualizzazione, è narrazione. La memoria parte dal ricordo e mantiene in vita il passato, lo fa diventare parte della nostra coscienza; e attraverso la narrazione il ricordo, che è sempre un ricordo di dolore, di sofferenza, diventa spunto, tensione verso il miglioramento, il progresso”, afferma Marcello Kalowski. (gc)

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