In ricordo dell’alluvione del Polesine, un dramma attualissimo

Nel novembre del 1951, un disastro naturale cambiò la vita a migliaia di italiani

La memoria storica è un punto di riferimento fondamentale per un Paese che voglia definirsi civile. Come una torretta da cui osservare il presente e il futuro, senza mai perdere di vista i fatti lieti e i drammi del passato. Tra le tante parentesi tristi della storia italiana del Novecento, quella del Polesine è una di quelle meno conosciuta dalle nuove generazioni. Una storia dispersa ormai nei racconti degli oramai anziani protagonisti – loro malgrado – di quella sciagura.

Siamo a metà novembre del 1951 nel Polesine, una zona compresa tra la provincia di Rovigo e quella di Venezia. Una forte alluvione fa ingrossare il Po, che invece di proseguire la propria corsa verso il mare si riversa sulla campagna e sui paesi per una quantità stimata d’acqua pari a otto miliardi di metri cubi.

Nell’Italia del Dopoguerra le conseguenze sociali ed economiche sono disastrose: oltre a quasi 90 vittime, si stima che dal 1951 al 1961 abbiano abbandonato il Polesine circa 80mila persone. Al 2001, hanno lasciato il territorio circa 110mila persone, con molti comuni che hanno visto un calo della popolazione – nel corso dei decenni – pari al 50% degli abitanti. Molti degli abitanti sono emigrati in altre zone del Nord Italia, altri hanno il meridione.

Quella vicenda dolorosa, oggi tanto lontana da un punto di vista cronologico, è in realtà vicinissima a noi, e racconta l’importanza di avere cura del proprio territorio e di rispettare l’ambiente. Nel Veneto di quasi 70 anni fa la causa del disastro fu individuata in un’estrazione indiscriminata del metano che fece abbassare il livello del suolo di due/quattro metri. Nell’Italia di oggi è importante ricordare il passato per non commettere errori e non sottovalutare le conseguenze nefaste di uno sfruttamento irresponsabile del territorio in cui viviamo.

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