Guarire, o almeno iniziare a medicare la “piaga” del debito ‘monstre’ di 12 miliardi di euro che grava sui conti della Capitale e che riducono al lumicino le risorse per gli investimenti: é questa la promessa che la neo sindaca di Roma, Virginia Raggi, ha fatto ai romani in campagna elettorale. Una promessa impegnativa, da onorare con 500 milioni l’anno e che ora costituisce il problema più grande sulla programmazione del lavoro della Raggi che si troverà a progettare il futuro immediato della Capitale con un bilancio di previsione approvato dal Commissario Tronca e con una manovra di assestamento da cominciare a studiare. L’unica consolazione è che, anche se i margini di manovra sono finanziariamente stretti, i tempi (scadranno il 30 novembre) sono discretamente lunghi.
Il primo passo previsto é un audit, come ha detto la stessa Raggi, per certificare l’effettiva consistenza del debito. Poi l’ingresso del Campidoglio nella gestione commissariale. Infine la ristrutturazione.
La partita sarà una delle più difficili che attendono la Raggi, ora alle prese con il rebus della giunta. Poco più di una settimana. Poi, il prossimo 7 luglio, il sindaco svelerà, durante il primo consiglio comunale, la sua giunta al completo. Per uno degli assessorati chiave, quello al Bilancio, si era fatto inizialmente il nome di Marcello Minenna, responsabile dell’ufficio Analisi quantitative della Consob, che negli ultimi mesi ha affiancato il commissario di Roma Francesco Paolo Tronca proprio nell’analisi del debito capitolino. Ma dal dirigente dell’Authority – da anni in rotta con il presidente Giuseppe Vegas – non è arrivata alcuna conferma.
Fonti ben informate, invece, hanno confermato a Radiocolonna che nella squadra dei pentastellati si fa sempre più forte per il Bilancio il nome di Daniela Morgante, ex assessore della giunta Marino. Magistrato della Corte dei Conti, 43 anni, la vorrebbe con sé la sindaca, che ha annunciato finora solo 4 dei 10 assessori previsti.
Ma intanto delle anticipazioni sulla relazione del commissario straordinario della capitale Francesco Paolo Tronca dicono che “Roma Capitale ha un quadro regolamentare obsoleto e, sotto certi aspetti, inadeguato”. Il prefetto dopo i suoi 8 mesi denuncia “le pericolose relazioni tra le organizzazioni criminali e l’area istituzionale, con possibili devianze dell’apparato burocratico-amministrativo locale”. Il neo sindaco – fanno sapere da M5S – é giá al lavoro sulla relazione Tronca.
Per capire la portata del problema del debito di Roma conviene partire dai numeri. Ad oggi il debito della Capitale ammonta alla stratosferica cifra di oltre 12 miliardi di euro. Una spada di Damocle che rende impossibile ogni margine di manovra e che qualcuno porta fino a 16 miliardi. Il condizionale vale anche per le cifre riguardanti il creditore più importante di Roma Capitale: la Cassa depositi e prestiti, che sarebbe esposta verso il Comune capitolino per 2,7 miliardi (2,2 prima del 2008), parte di un debito finanziario complessivo di 5,8 miliardi, rimborsabile fino al 2044 per la più parte a un tasso medio del 5%. D’altro canto la stessa Cdp nel 2014 ha messo a disposizione del Comune una linea di credito al 2040: l’utilizzo al 31 dicembre dovrebbe comunque andare a ripianare vecchi debiti.
Ma rinegoziare i termini dei rimborsi con la Cassa depositi e prestiti, che è controllata dal Tesoro, è davvero possibile? In che misura? Degli spazi per ridiscutere le condizioni, sia quelle dei mutui contratti con la Cdp sia quelle dei prestiti bancari, ci sarebbero, dicono gli esperti. La fetta più corposa è rappresentata, infatti, da 1.686 mutui, di cui quasi 1.500 contratti con la Cassa depositi e prestiti, e gli altri con istituti privati. Ci sono poi due contratti derivati sul tasso di interesse, il cui valore mark-to-market (quello che occorrerebbe pagare per chiuderli in anticipo) al 30 settembre 2015 era negativo per 32 milioni. Infine c’è il Buono ordinario comunale (Boc) emesso nel 2003, un’obbligazione con cedola annuale e rimborso del capitale alla scadenza – fissata al 2048 – per un valore di 1,4 miliardi.
Al debito finanziario va sommato quello commerciale, che comprende le somme dovute alle ex municipalizzate come Atac e Ama, alla Regione e altri enti della pubblica amministrazione, a Equitalia. In tutto l’esposizione è di 3,2 miliardi. Pagare interessi, cedole e rimborso del capitale costa alla Capitale 500 milioni l’anno, di cui 300 a carico dello Stato e 200 frutto dell’addizionale Irpef versata dai romani, che è fissata allo 0,9%, il massimo consentito. Il tasto dolente è rappresentato dagli interessi: quest’anno la media si attesta al 4,2 per cento, un valore molto alto in quest’era di tassi base sotto lo zero. Il motivo è che l’82% del debito finanziario capitolino è a tasso fisso, con un costo medio del 5%, e solo il 17,4% a tasso variabile. L’ultimo bilancio varato dal commissario straordinario Tronca per il 2016 ha varato tagli da 164 milioni, con 500 milioni liberati per gli investimenti. Un primo passo, certamente insufficiente per far ripartire una città.
Inoltre, Silvia Scozzese, ex assessore con la giunta Marino poi nominato commissario straordinario dal Governo Renzi per la gestione del piano di rientro del debito pregresso, nel corso dell’audizione davanti alla Commissione Bilancio della Camera, ha dichiarato: “Né i piani di rientro del debito di Roma Capitale finora redatti, né il documento di accertamento definitivo del debito sembrano contenere una ricognizione analitica e una rappresentazione esaustiva della situazione finanziaria da risanare antecedente al 2008. Attualmente, per il 43% delle posizioni presenti nel sistema informatico del Comune non è stato individuato direttamente il soggetto creditore”. In parole povere, non si conosce nemmeno a chi bisogna restituire i soldi per quasi metà del debito. (Giusy Iorlano)