PD e Regione: due sfide per Zingaretti ‘calma e gesso’

Superato bene lo scoglio elezioni lo attende un gran lavoro su temi concreti insieme a molta diplomazia

Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio e segretario Pd

Il risultato delle elezioni europee di domenica 26 maggio ha riportato fiducia e speranza nel Pd del nuovo corso zingarettiano. Il partito, infatti, ha reagito bene dopo le fasi tumultuose degli ultimi anni (sconfitta nel referendum costituzionale promosso dall’ex segretario Matteo Renzi, le sue dimissioni da presidente del Consiglio e da leader dei “democratici”, la dura batosta nelle politiche dell’anno scorso, le regioni perse  nelle elezioni che si sono svolte negli ultimi mesi) e sembra aver bloccato l’emorragia di voti verso l’astensionismo o altri partiti.
Come ha sottolineato lo stesso Nicola Zingaretti nelle sue prime dichiarazioni post-voto, “il traguardo e’ ancora lontano, ma la ripartenza e’ iniziata”. In effetti, la brusca frenata dei cinquestelle, che in questa tornata elettorale europea hanno dimezzato in percentuale i consensi avuti solo poco piu’ di un anno fa (dal 32 per cento e passa delle politiche al 17% attuale) permette al Pd di affermare di essere la vera alternativa alla Lega di Matteo Salvini ed alle destre. Certo, non e’ tutto ora quello che riluce. Come hanno evidenziato alcuni settori del partito (renziani e moderati) il balzo in avanti (dal 18,8% dello scorso anno al 22,7%  di domenica) e’ stato possibile solo grazie al vistoso calo degli elettori rispetto alle politiche del 2018 (ha votato il 56 per cento contro il 73% di allora, quindi ha disertato le urne un buon 17% di votanti). Martedi’ 28 e’ stato lo stesso Matteo Renzi a smorzare gli entusiasmi ed a mandare un “avvertimento” a Zingaretti affermando che “il Pd ha ottenuto un buon pareggio” ed evidenziando che il partito un anno fa “era secondo ed e’ rimasto secondo; ha perso 120 mila voti, ma ha guadagnato 4 punti percentuali”.

Comunque, il segretario del Pd, superato lo scoglio delle europee (ma ci sono ancora in ballo i ballottaggi comunali del 9 giugno), puo’ ora mettersi al lavoro per procedere piu’ speditamente al rinnovamento del partito. Cio’ significa tessere un reticolo di alleanze alla sinistra del partito senza trascurare l’area moderata che si riconosce nei valori dei progressisti. Ma soprattutto Zingaretti dovra’ rimboccarsi le maniche per recuperare il rapporto con le periferie delle citta’. Il voto delle ultime consultazioni ha infatti messo in luce che, quello che era un grande serbatoio di consensi per la sinistra, si e’ sentito trascurato, se non tradito, e si e’ rifugiato nell’astensionismo o ha riversato i propri voti alle forze politiche meno tradizionali.
E’ un fenomeno che risale gia’ ad una decina di anni fa e che ha contraddistinto proprio Roma, citta’ che Zingaretti conosce bene. Nel 2008 Gianni Alemanno, allora Alleanza Nazionale, divento’ sindaco grazie ai voti delle periferie. Lo stesso e’ avvenuto con Virginia Raggi, M5S, eletta tre anni fa, nel 2016. Ed e’ accaduto anche domenica 26. Il Pd e’ andato piu’ che bene nei quartieri centrali e “bene” della Capitale, ma nelle periferie deve registrare che i cittadini lo vedono distante ed hanno votato per Lega, M5S e FdI.

E’ da qui, dai quartieri disagiati ed alle prese con tanti problemi, che Zingaretti, che e’ anche presidente della Regione Lazio, deve partire se vuole che il Pd risalga la china e possa sperare di essere una vera alternativa di governo all’attuale esecutivo gialloverde ed al possibile e rigenerato schieramento di centrodestra a guida leghista. Certo, il leader del Pd ha bisogno che tutto il partito lo segua in questa sua avventura, ma dalle parole di Renzi, che e’ ancora “l’azionista di maggioranza” nei gruppi parlamentari, si evidenzia che le sue aperture a sinistra, in particolare ai fuoriusciti di Articolo 1 guidati da Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, non piacciono all’area renziana che punta invece a dialogare con i moderati.
Staremo a vedere che cosa succedera’ in casa Pd. Zingaretti, che non e’ un leader che punta a suscitare emozioni ed a catturare facili consensi, ma che fa affidamento sul ragionamento e su temi concreti, dovra’ lavorare molto, anche di diplomazia, non solo in sede di partito, ma anche in seno al Consiglio regionale dove la Lega ha iniziato a raccogliere firme per una nuova mozione di sfiducia contro di lui. E’ una nuova sfida, oltre quella nazionale, che il “governatore” si appresta ad affrontare con il suo stile “calma e gesso”.

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