Reddito di cittadinanza, voci dal primo giorno: ok, ma meglio il lavoro

La maggior parte di coloro che si sono presentati agli sportelli aveva una caratteristica in comune: un senso di inadeguatezza, quasi di vergogna

Cittadini in attesa davanti a un Caf a Roma

L’esercito degli invisibili, o degli ultimi a seconda se si preferisce la definizione che di loro danno Di Maio o le statistiche dell’Istat, non ha preso d’assalto le Poste e i Caf, rivelandosi alla fine del primo giorno poco più di un plotone. E soprattutto ha difeso la propria dignità: perché il Reddito di Cittadinanza va bene per arrivare a fine mese ma sarebbe meglio, molto meglio avere un lavoro. Che vuol dire certezze, speranza, futuro.

Il ‘pronti via’ di quello che nel mondo dei cinquestelle dovrebbe essere lo strumento per cancellare la povertà, è filato via liscio da Milano a Bari, ben diverso da come in molti se l’aspettavano. Niente caos, niente liti tra ultimi per chi dovesse essere il primo a presentare la domanda, niente urla contro dipendenti e funzionari. Piuttosto, la maggior parte di coloro che si sono presentati agli sportelli delle Poste per fare la domanda o nei Caf per predisporre i documenti, aveva una caratteristica in comune: un senso di inadeguatezza, quasi di vergogna. Che avesse 30, 50 o 80 anni; che vivesse ad Ancona, Roma o Palermo. Come se aver perso il lavoro, esser soli con una pensione da 400 euro o non aver mai avuto altro che lavoretti in nero fosse una colpa.

“Lo sai che vuol dire chiedere il reddito a 45 anni invece che andare a lavorare? E’ difficile e umiliante, ma devi farlo” dice la mamma di Benedetta, che al Caf di Cinecittà est, periferia romana, è andata a fare i documenti per la figlia che non vuole farsi vedere. Lavorava in una società che erogava mutui ma il suo posto è saltato subito dopo la crisi: le è rimasto un mutuo da pagare e un monolocale. “Noi l’aiutiamo come possiamo. Io e mio marito siamo due pensionati, io prendo 1.100 euro e pago 900 di mutuo, mio marito un po’ di più. Fatti i conti di quanti soldi ci restano”.

In tutti gli uffici postali hanno messo un cartello in cui si chiede di presentare le domande in base al cognome: oggi le lettere A e B, domani la C e via fino alla S-Z mercoledì prossimo. Poi si ricomincia. Ma è un’indicazione: nessuno ferma nessuno. E la maggior parte di quelli che si sono presentati, chiede il reddito per avere lavoro.

“Io non sono affatto contenta di aver fatto la domanda, ma mi è finita l’indennità di disoccupazione e devo pagare l’affitto. Quello che è certo è che non smetto di cercare lavoro, non ci penso proprio” dice Manuela, 39 anni, una laurea in scienze politiche, un licenziamento dalla Croce Rossa e nessuna voglia di stare su un divano. Alle Poste di via Casilina è l’unica che oggi ha fatto la domanda.

Stesse ambizioni di Maria, 41enne polacca da 18 anni in Italia che si è presentata al Caf di Pomigliano d’Arco a due passi da casa di Di Maio con le idee chiare. “Sono qui per il lavoro ma vorrei tornare in Polonia, dove la situazione è migliorata tantissimo. I miei figli si sono integrati in Italia, parlano bene italiano, ma io non vedo qui un futuro per loro”.

Un futuro lo vuole pure Vincenzo, anche se ha 80 anni. E ha ragione lui. “Ho lavorato in mare sui pescherecci da quando avevo 14 anni, non ho mai chiesto nulla allo Stato – dice fuori dal Caf Cisl di Ancona – Ma vivo con 640 euro di pensione al mese: così non si va avanti”.

E Davide, che di anni ne ha 37, due figli di 14 e 4, una moglie disoccupata come lui. E’ uno dei primi in Italia a presentare la domanda, alle 7:50 è già davanti all’ufficio postale. “Avevo una ditta di pesce surgelato che è fallita. Sono 3 anni che sono iscritto ai centri per l’impiego e nessuno mi ha mai chiamato. Ora ci daranno, speriamo, questi soldi. Ma il lavoro me lo trovano?”.

Antonio di anni ne ha 50 e da 30 è iscritto “al collocamento”: “ma non mi hanno proposto mai un lavoro vero”. E quindi? “E quindi vendo calzini in strada – ride mentre è in fila al Caf di via Torino a Napoli – mi sposto anche a Roma quando è necessario”.

Di furbetti, per il momento, neanche l’ombra. “E quelli mica vengono qui – sentenzia un dipendente delle Poste dietro garanzia di totale anonimato: “ci hanno detto che non dobbiamo aprire bocca” – se devi fare degli impicci li fai online, mica ti fai vedere”.

Ivano Ripari invece si fa vedere da tutti, anche dalle telecamere. Invalido al 100%, vive con l’ossigeno e 280 euro al mese. “Devi essere un disgraziato come me per avere il reddito. Sembra una cosa fatta bene. Speriamo solo che non ce la facciano ripagare in qualche altro modo”.(fonte Ansa)

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