Ai vertici dell’Ama lo ripetono come un mantra in questi giorni. “Raccogliere la spazzatura va bene, ma poi bisogna capire dove e come metterla”. In questi giorni Roma vive l’ennesima emergenza rifiuti, testimoniata dalle immagini giunte da Tor Bella Monaca, quartiere visitato due giorni fa da Virginia Raggi e dove i bambini si divertono a contare i topi intorno ai cassonetti stracolmi di immondizia. Qualcosa dunque non va nella Capitale e nella sua provincia. Certo, Ama non gode di ottima salute, è schiacciata da circa 920 milioni di debiti e parte dei pochi netturbini a disposizione sono stati dirottati verso la raccolta porta a porta, lasciando le strade sguarnite. Come se non bastasse nelle ultime settimane ci si sono messi pure gli scioperi dei lavoratori del comparto igiene. A monte di tutto questo c’è però un problema di natura industriale che deve essere risolto con un adeguato piano, senza il quale le polemiche sulla pulizia delle strade e sui cestini stracolmi servono a poco.
Non è un caso che in questi giorni, secondo quanto appreso da Radiocolonna, il presidente e ad di Ama Daniele Fortini, parlando anche con i suoi collaboratori più stretti, starebbe cercando di spostare il baricentro della discussione sulla carenza e la vetustà di infrastrutture in grado ricevere e smaltire le oltre 1,7 milioni di tonnellate prodotte ogni anno dai cittadini romani. Cercando la sponda del Comune-azionista, affinchè si possa intervenire una volta per tutte su un sistema che Fortini ha più volte definito, forse a buon ragione, “arcaico, fragile e precario”. D’altronde, per accorgersene, basta dare un’occhiata alla mappa degli impianti di cui dispone la Capitale.
Cominciando dagli inceneritori, nel Lazio ce ne sono quattro ma uno, quello di Malagrotta, è fermo mentre un altro, quello di Colleferro, ha un forno fermo. Rimangono dunque solo due impianti su quattro funzionanti a pieno regime, Colleferro 2 e San Vittore nel Lazio. Risalendo la catena di montaggio, prima degli inceneritori ci sono però i Tmb, gli impianti per il trattamento meccanico biologico, che però a differenza degli inceneritori non polverizzano la spazzatura, semplicemente la trasformano in qualcos’altro: una parte diventa terriccio, un’altra viene declassata a scarto e spedita nelle discariche mentre tutto il rimanente diventa combustibile da mandare agli inceneritori. E anche i Tmb non se la passano granchè bene. Nel Lazio se ne contano otto ma di questi funzionano a regime solo cinque visto che i due impianti di Malagrotta, di proprietà del Consorzio Colari di Manlio Cerroni, hanno difficoltà, mentre il sito di Rocca Cencia (visitato sempre due giorni fa dalla raggi) è in affanno, tanto che due giorni fa ha dovuto rimandare indietro alcuni camion. Come se non bastasse la discarica di Malagrotta è chiusa dal 2013 per via delle nuove regole europee in materia di rifiuti. Il risultato di tutto questo? E’ che buona parte dei rifiuti prodotti a Roma (tra il 50 e il 60%) viene spedito ogni giorno con decine di camion presso una cinquantina di impianti di otto regioni, con enormi costi per i cittadini.
Logico dunque pensare, sostengono all’Ama, innanzitutto a un piano industriale che coinvolga in primis il Campidoglio e tutte le istituzioni competenti. Un piano che dovrà svilupparsi obbligatoriamente su due direttrici. Da una parte gli investimenti necessari per la realizzazione di nuovi e più moderni impianti, dall’altra agire sulla raccolta differenziata, oggi ancora ferma al 41%, il cui incremento sì ridurrebbe notevolmente i costi di raccolta, ma soprattutto darebbe un po’ di fiato agli impianti di smaltimento. (Gianluca Zapponini)