Roma è una città allo sbando

Crollano i lavori pubblici, lo stadio è un’utopia

Gli anglosassoni la chiamano “recipe for disaster”, letteralmente la ricetta di un disastro. Si tratta di una concatenazione di eventi che non può che portare lì, oltre l’orlo del baratro, in una discesa a precipizio che diviene ogni giorno più ripida. Roma ha ormai le stigmate della città fallita. Gli investimenti pubblici – come certificato ieri dal Cresme – sono ormai un lontano ricordo, con Milano e Torino che la sopravanzano nonostante la loro estensione complessiva sia meno della metà di quella di Roma. Il Cresme ha certificato un calo degli investimenti del 75% delle risorse per manutenzione strade, verde pubblico, arredo urbano. Una “brusca flessione generale del 16% in termini numerici” registrata nei primi mesi del 2016. L’altro dato, ancora più sconvolgente, è quello relativo al “peso” di Roma rispetto al complessivo dei lavori pubblici: nel 2005 era il 32,5%, oggi è sotto il 10%. Se il trend dovesse confermarsi, nel 2016 ci si potrebbe attestare sui 500 interventi, meno di un terzo di quelli realizzati 10 anni fa.

L’assessore all’Urbanistica Paolo Berdini, intervenuto al convegno del Cresme, si era ripromesso di non parlare. Ma poi ha ceduto e ha rilasciato dichiarazioni al vetriolo: molto critico sull’impianto di Tor di Valle (“400 milioni per lo stadio in un deserto…”), Berdini ha poi rincarato la dose, togliendosi dalla corsa all’assessorato per i lavori pubblici: “Siamo fuori dai parametri della legge Monti. Nel caso in cui l’amministrazione centrale dello Stato decidesse il fallimento di Roma non ci sarebbe nessun problema, perché siamo fuori dai parametri. Poi ci sarebbe naturalmente un problema politico. Roma dal punto di vista strutturale è una città fallita”. Più chiaro di così.

Sulla questione stadio Roma si è giocata molta parte della sua credibilità. Se, infatti, la sindaca Raggi dovesse decidere che non sussistono più le condizioni necessarie, è assai probabile che James Pallotta, attuale presidente e azionista di riferimento della Roma, decida di mollare la partita e cedere la società a qualcun altro. Perché gli americani, che sanno come fare business con gli sport, lo stadio è il primo, fondamentale passo per rendere la squadra di calcio un business profittevole. Ma le perplessità sulla zona di Tor di Valle, sugli interventi – scarsi – di urbanistica che saranno garantiti dai privati, sulla necessità di realizzare infrastrutture nonostante manchino i fondi sono tutte questioni che dovranno trovare una risposta subito. O il circolo vizioso di fuga di capitali, carenza di attrattiva e depauperamento del tessuto imprenditoriale romano continuerà inesorabile. (Marco Scotti)

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