Roma, sabato pomeriggio. All’interno di un negozio di abbigliamento per ragazzi, in un noto centro commerciale, attendo che mia figlia scelga un paio di jeans. Con quell’aria un po’ sconsolata e avvilita per l’annoso compito di doverla accompagnare, la seguo annoiato fra i reparti e gli stand con la merce esposta.
E così fra un “questo non mi piace e quest’altro nemmeno”, sono già due ore che entro ed esco da duecentomila punti vendita. Più che camminare, mi trascino sconfitto. Poi, improvvisamente, inciampo. Un attimo dopo inciampa anche lei. Entrambi, curiosamente, ci accorgiamo di aver calpestato delle stampelle e degli indumenti lasciati in terra. La cosa ci lascia perplessi.
Buttati in terra
Guardo in basso e scopro una quantità infinita di abiti e grucce sul pavimento. Un tappeto di camicie, giacche, gonne, t-shirt, collanine e scarpe. Poco più avanti a me, scorgo una commessa. Le chiedo spiegazioni. “Lei non ha idea di quanto siano incivili le persone”, mi risponde. “Prendono gli abiti dagli stand o dagli scaffali e, quasi mai, li rimettono a posto. Li gettano a terra senza alcun rispetto. Ma a casa loro fanno allo stesso modo? Io non credo proprio!”.
A quel punto, ancor più “incuriosito” dalla mancanza di educazione altrui, le domando se posso scattare delle fotografie per testimoniare l’ingiustificabile inciviltà. La ragazza mi spiega che, per ragioni di politiche aziendali (parliamo di un marchio conosciuto in tutto il mondo), non può darmi l’autorizzazione. Anzi, mi fa capire che qualora lo facessi, lei rischierebbe anche un richiamo dall’azienda o chissà cos’atro. Allora pattuiamo un pacifico: farò le fotografie in modo da non lasciar comprendere, in alcun modo, il nome del brand. Soprattutto la rassicuro che non voglio che subisca delle conseguenze lavorative. Lei si fida e inizio il reportage fotografico.
Nel mentre, giustamente, mi segue e controlla che rispetti la promessa.
Siamo come dei criceti nella ruota
“Dobbiamo raccogliere gli indumenti come se fossimo dei criceti nella ruota. Lavoriamo in un loop continuo che non ha mai fine. Non possiamo mai fermarci un attimo perché, ogni due secondi, qualcuno ne getta di nuovi.
Se ne fregano totalmente di qualsiasi cosa. Sembrano dei barbari”.
La pipì nei camerini
“Ma questo, paradossalmente, è il male minore. Lei non ha idea di cosa troviamo nei camerini!
Ci troviamo delle bottigliette riempite di pipì oppure, l’urina, la troviamo direttamente sul pavimento. Delle volte ci troviamo anche degli escrementi o degli assorbenti usati”.
Le dolci mammine
Il gioioso ricordino di “plin plin” è spesso lasciato dalle mammine con bimbi al seguito che, colti dall’impellente necessità del pargoletto, invece di uscire e raggiungere la toilette (nei centri commerciali ce ne sono in ogni piano), decidono di lasciargliela espletare lì, esattamente dove si trovano. Però mi chiedo, tale pratica la ripetono anche nelle loro abitazioni? C’è qualche mamma che lascia defecare o urinare il proprio pupetto in cucina o nel salotto? Non credo. E allora perché dovrebbe andar bene nel camerino?!? “Secondo me – aggiunge la commessa – delle volte la pipì la lasciano anche i ragazzi, convinti di compiere un’esilarante goliardata”.
Gli assorbenti usati
“Le ragazze, anche quando si trovano ‘in quei giorni lì’, si provano ugualmente i vestiti, macchiandoli di rosso. Ma troviamo anche degli indumenti strappati nel tentativo di scardinare il dispositivo anti taccheggio, oppure sporchi di liquido seminale”.
La “pupù”
“Poi c’è la ‘pupù’. E’ raro ma troviano anche quella”. Così, ingenuamente, le domando: “la fanno fare ai cani?”.
La ragazza mi guarda ma non risponde lasciando intendere, scuotendo la testa, che non sia solamente opera dei quadrupedi.
Siamo diventati dei barbari?
Ma come è possibile che si possa essere così incivili? Come siamo arrivati a un simile degrado e abbrutimento? Come abbiamo fatto a diventare quelli che non rispettano le file ai supermercati, quelli che hanno dimenticato la grazia del salutare il condomino che incontrano nel palazzo, quelli che suonano e sbraitano all’interno delle proprie autovetture, quelli che evadono le tasse e lasciano cartacce e sporcano le nostre città?
E’ sempre colpa degli altri
Siamo quelli del “prima di tutto, penso a me stesso”. D’altronde, che ci piaccia o meno, viviamo in una società estremamente individualista e tali dinamiche sono inevitabili.
Però, ci lamentiamo costantemente. Ci lamentiamo della poca educazione altrui, ci lamentiamo di chi guida male, ci lamentiamo di chi sporca, ci lamentiamo dei figli incivili del nostro vicino di casa, ci lamentiamo dei politici ladroni. Stiamo sempre con il dito puntato verso il prossimo senza mai applicare, su noi stessi, il più piccolo esame di coscienza. Non a torto Hermann Hesse sosteneva che quando odiamo qualcuno, odiamo nella sua immagine, qualcosa che è dentro.
Ognuno di noi è responsabile
Restituiamoci quei valori che ci hanno reso un popolo fiero. Un popolo che ha dato vita all’Umanesimo e al Rinascimento. Ricordiamoci che quando ci comportiamo educatamente e civilmente, quando siamo gentili e disponibili con il prossimo, quando rispettiamo la morale e l’etica comune, quando non infrangiamo le regole, probabilmente non risolveremmo le questioni lavorative o la fame del mondo ma contribuiremmo a rendere migliore la società nella quale viviamo. Sono certo che non ci sembrerebbe di abitare in una giungla. Soprattutto, saremmo più sereni, civili e meno arrabbiati con il prossimo.
Non è poco.