In realtà a Roma e nel Lazio un censimento dei rom già c’è. I nomadi sono poco più di 7 mila, organizzati in una ventina di campi nella regione, una decina quelli autorizzati, gli altri spontanei e tollerati. Altri insediamenti invece nascono quotidianamente, come quello sul greto del Tevere all’altezza di Testaccio.
L’integrazione è molto più teorica che praticata. I campi della Barbuta e della Monachina non sono stati chiusi, come invece vorrebbe la sindaca Virginia Raggi. Il bando, che prevede il reinserimento dei nomadi che vi abitano, è andato in sostanza deserto. Per La Barbuta si è presentata solo la Croce Rossa, per La Monachina nessuno. “Per dare un lavoro è prevista la nascita di start up, difficilissimo visto che chi abita in quei campi è in sostanza analfabeta”, dice Carlo Stasolla, presidente dell’associazione 21 luglio che appunto si occupa di assistere i nomadi.
Comunque lo stesso Stasolla ammette che, a livello nazionale, “mancano i dati sui rom, per questo da due anni facciamo un rapporto”. L’associazione 21 luglio uogni anno presenta un documento che e’ l’unica fonte per misurare il fenomeno delle baraccopoli, “la mappa della vergogna”.
Sia il Rapporto 2017 sia quello del 2016 iniziano lamentando “la mancanza di dati certi relativi alla composizione etnica della popolazione rom e sinta presente sul territorio nazionale”. Allora e’ vero che mancano i dati e serve un censimento? “Con il nostro lavoro”, sottolinea Stasolla “iniziano ad esserci dati sulle condizioni in cui vivono persone dentro i campi rom, che sono anche persone non rom; la nostra e’ una indagine sociale sulle baraccopoli d’Italia; all’interno infatti molti sono rom ma non tutti; ed e’ impossibile definire chi e’ un rom e chi no. Uno puo’ dire di esserlo o non esserlo e nessuno lo puo’ smentire”.
Insomma, un censimento che non è una schedatura potrebbe aiutare a migliorare le condizioni di vita di molti.