Nessuno tocchi l’insegnante! Lo avevamo esortato, proprio su queste pagine, già il mese scorso. Ma non è cambiato nulla. Anzi, il quadro sociale di delegittimazione del corpo docente, sembra peggiorato. I professori sono un elemento fondante della nostra società perché formano ed educano i cittadini di domani ed è arrivato il momento che lo Stato intraprenda, nei loro confronti, delle azioni di difesa chiare e inequivocabili. Delle azioni drastiche e ineccepibili.
La Fedeli sostiene che: “Chi infrange le regole, chi ricorre alla violenza verbale o fisica nei confronti di un professori, deve essere sanzionato secondo le norme vigenti che prevedono la sospensione dalle lezioni per periodi di tempo diversi a seconda della gravità delle azioni compiute e, nei casi più gravi, anche la non ammissione allo scrutinio finale“.
Ma questo non basta e non è bastato. Parliamo di ragazzi demotivati ai quali, la sospensione o la bocciatura, non interessa. Non li spaventa minimamente. Gli episodi di aggressione, infatti, si moltiplicano e sono la spia di un atteggiamento che va scoraggiato e condannato con provvedimenti legislativi seri e rigorosi. La legge, in questo senso, è lapalissiana e classifica queste azioni in “oltraggio a pubblico ufficiale” e non in atti di bullismo.
Nello specifico è l’articolo 341 bis del codice penale: “chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore e il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio, è punito con la reclusione fino a tre anni”. In questo caso, parlando minorenni, si configurerebbe il riformatorio. In molti Paesi, questi provvedimenti, vengono già attuati con “successo”.
I ragazzi, purtroppo, non sanno più distinguere quale sia la soglia del superamento delle regole e della convivenza civile. I social network, oltretutto, alterano la loro percezione della realtà. Postando i video nella rete, infatti, cercano una glorificazione. Un consenso. Una deprecabile approvazione come le incomprensibili risatine che si odono, stridenti, nei loro video. E le riprese con i cellulari, se non autorizzate, configurano un secondo reato.
Le regole ci sono e la giurisprudenza non ammette ignoranza. Lo Stato deve intervenire per farle rispettare, senza “se” e senza “ma”.
Perché i giovani devono crescere. Si devono responsabilizzare. La vita sociale non è un gioco. Ha delle regole di pacifica convivenza.
E se non dovesse bastare, si ricorra anche a delle sanzioni amministrative di carattere pecuniario a carico dei genitori degli alunni, in quanto tutori legali dei minori.
Poi parallelamente, come è giusto che sia, intervengano anche gli psicologi, i pedagogisti e i sociologi. Si analizzi il fenomeno e si faccia luce sulle cause. Si approfondiscano tutte le giustificazioni o le attenuanti del caso per una società che, forse, sta cambiando troppo in fretta, trovando tutti impreparati. I genitori in primis.
Non a caso, secondo il Parent Coach Giampaolo Geniale, “spesso i genitori sottovalutano che i bambini imparano per il 90% da quello che vedono e per il restante 10% da quello che viene loro insegnato verbalmente. Questo significa che se un genitore strilla in casa, il bambino penserà che urlare o tenere un tono alto della voce, sarà un buon modo per comunicare con il prossimo. Se lo fanno mamma e papà è giusto che sia così.
Bisogna sempre tenere a mente che ogni adolescente è il risultato del percorso formativo che ha effettuato in casa. Anche i genitori, nello stesso tempo, sono delle vittime perché nessuno insegna loro le conseguenze dei propri atteggiamenti o comportamenti. Lo stress della vita quotidiana è un elemento che contribuisce a renderli sempre più nervosi e il più delle volte è all’interno delle mura domestiche che si sfogano le tensioni accumulate sul posto di lavoro. Per questo motivo, noi Parent Coach, promuoviamo dei corsi nelle scuole, indirizzati ai genitori. Forniamo loro gli strumenti per avere una maggiore consapevolezza genitoriale e una corretta dinamica relazionale”.
Non resta che augurarci che non si debba configurare, per nessuno, il carcere o il riformatorio. Insegnare le regole attraverso la coercizione è sempre una sconfitta, sociale e civile. Ma è anche il momento di dotare le aule scolastiche di telecamere (come richiesto da moltissimi insegnanti). Troppo spesso, infatti, le aggressioni non vengono denunciate e quelle riportate nei video, rappresentano solamente una parte marginale del fenomeno. Soprattutto, è il momento di applicare “la tolleranza zero”!