Un tir che corre tra la folla inerme, a folle velocità, dopo aver forzato un cordone di polizia. È l’immagine simbolo delle celebrazioni del 14 luglio che a Nizza, sulla celeberrima Promenade des Anglais si è tramutata in un incubo. L’ennesimo incubo prodotto dal terrorismo, a 8 mesi dalle stragi di Parigi. Sull’asfalto sono rimaste 84 persone, mentre l’assalitore, un franco-tunisino, è stato ucciso dalle forze dell’ordine.
Ogni volta la domanda che ci si pone è: perché? Perché piombare con un tir su una folla che sta celebrando una festa nazionale? Già, ma perché anche sparare durante un concerto? Perché prendere di mira fermate della metropolitana e altri obiettivi sensibili? Perché in questa guerra tra “noi” e “loro” non si è ancora ben capito quale siano i confini da tracciare, chi sia il nemico, quali siano le sue motivazioni.
L’attentatore di Nizza non era un integralista folle addestrato nei campi dell’Isis o di Al Qaeda. Non era neanche un soggetto sorvegliato. Era un ragazzo di 31 anni, figlio di immigrati tunisini. È, o meglio era, a tutti gli effetti un francese. Ha deciso di lanciarsi in una guerra santa che non era sua? Può darsi. Quello che è certo è che la Francia è in questo momento l’obiettivo per antonomasia dei terroristi.
Anzi, bisogna pure ringraziare che durante i recenti Europei di calcio non sia successo nulla, altrimenti il bilancio sarebbe potuto essere anche peggiore. Ma le banlieu che ribollono, con i loro abitanti definiti “feccia” da Sarkozy qualche anno fa, con la convinzione di sentirsi sempre “altri”, anche se si parla di immigrati di seconda o terza generazione, sono il brodo di coltura ideale per il proliferare di associazioni più o meno regolamentate pronte a colpire al cuore la Francia. O per la creazione di “cani sciolti” come l’attentatore di Nizza.
Viene colpito lo stile di vita occidentale, con i concerti, le feste, i luoghi deputati al divertimento presi di mira. Sui social network, ormai divenuti lo strumento principale per esprimere emozioni, è tutto un proliferare di : , , . Eppure, analoga forza non è stata registrata per le decine di attentati che hanno sconvolto il mondo arabo e musulmano negli ultimi mesi. Pochi, pochissimi hanno scritto . A riprova che la divisione tra “noi” e “loro” non è un’invenzione di un manipolo di fondamentalisti esaltati che nel nome di un dio venerato da oltre un miliardo di persone si arrogano il diritto di porre fine a vite innocenti. Ma è una dicotomia che fa anche comodo a “noi” occidentali, sempre pronti a portare la nostra “guerra santa” nei loro territori, martoriati da guerre e massacri. In quelle zone in cui si soffre, si piange, si è pronti a imbarcarsi su gherigli di noce pur di scappare dalla guerra che anche “noi” abbiamo contribuito a creare. Ora, dopo l’ennesima tragedia, è il caso che l’Europa provi almeno per una volta ad essere una, unita, con un unico respiro, fermo e deciso: che sia la volta buona? (Marco Scotti)