Viaggio nello “slum” di Villa Pamphilj

Racket anche sulle baracche abusive e sui posti letti. Un viaggio nel degrado del più grande polmone verde della città

Maria Egizia Fiaschetti per Il Corriere Roma

 

È il più grande parco pubblico di Roma: 184 ettari di verde, spezzati in due dal taglio dell’Olimpica negli anni Sessanta. Se non fosse che oggi Villa Pamphilj, dopo i restauri miliardari per il Giubileo del Duemila e altri finanziamenti a pioggia, è assediata dal degrado. Il primo segnale ci accoglie all’ingresso su largo Martin Luther King: il dispositivo di Sos è fuori uso da almeno tre lustri. Un totem di incuria e sciatteria mentre nei prati vicini, all’ombra dei pini, fiorisce la prostituzione.

«Quando vengo a correre — racconta Paolo Arca, presidente dell’Associazione per Villa Pamhilj — a terra c’è un tappeto di preservativi». Poco più in là ecco un altro paradosso, il ponte Artemisia Gentileschi Lomi: realizzato per l’Anno Santo (costo 2 miliardi e mezzo di lire) doveva essere collocato altrove, ma il progetto fu bocciato e venne ricollocato qui. Motivo per cui la passerella assolve solo in parte alla sua funzione: «È a 50 metri dal semaforo — sottolinea Arca — e sul lato opposto, in via Pio XI, non c’è nessun attraversamento che colleghi le due entrate». L’intercapedine del ponte, nel frattempo, è diventata un dormitorio: materassi, coperte, panni stesi ad asciugare.

Continuando a camminare arriviamo alla Casetta ai Monti: ripristinata e mai utilizzata. La facciata è coperta di graffiti, ma lo scenario più desolante si nasconde all’interno. Da uno degli ingressi murati — nel viavai quotidiano i blocchetti vengono rimossi e risistemati — si accede alla struttura abitata da una ventina di abusivi. Al piano superiore lenzuola, bottiglie di birra, piatti ancora sporchi di sugo. A ottobre l’ultimo sgombero, ma l’edificio si è subito ripopolato. Stessa situazione nella cascina a ridosso di via della Nocetta che avrebbe dovuto ospitare i bagni: a lavori finiti si è scoperto che non era accatastata. Risultato: è di nuovo un rudere in balia di tossici e sbandati.

Trasformate in accampamento anche le serre ottocentesche progettate da Giovanni Guj, modificate più tardi da Andrea Busiri Vici: dentro, a giudicare dalle brande addossate alle pareti, vive una ventina di rom. A luglio la polizia giudiziaria intervenne per smantellare l’insediamento: quaranta senzatetto furono identificati e denunciati ma, sei mesi dopo, è tutto come prima. «Crediamo ci sia un racket per la vendita di posti letto — rivela Arca — . Vediamo spesso monovolume con la targa bulgara parcheggiate in largo Martin Luther King».

È l’osservazione quotidiana a rafforzare il sospetto che il turnover di disperati sia in mano ai criminali: «Un paio di mesi fa — racconta Arca — ho seguito una ragazza bionda che trascinava una valigia: quando se ne è accorta, pensando che cercassi compagnia si è offerta… Ho risposto che non mi interessava, ma mi ha colpito la sua disinvoltura: pur non capendo una parola di italiano, sapeva benissimo come muoversi. E aveva la chiave per entrare nella serra». Superata l’area cani, mai recintata e sprovvista di fontanella (i padroni degli animali si arrangiano con una tanica e una ciotola in comune), ci inoltriamo lungo un sentiero stretto e accidentato. Vediamo un topo arrampicarsi sullo sterrato per poi sparire nella boscaglia.

Da una radura spunta una discarica abusiva con tracce di roghi recenti: scarti di cibo, plastica, mobili e la carcassa di un trolley. «I razziatori rom di ritorno da Boccea — racconta il presidente dell’Associazione per Villa Pamphilj — lo usano come punto di smistamento prima di tornare nelle baracche alle spalle della Stazione Trastevere o a Marconi. Sono gli stessi che rubano il gasolio ai mezzi del Servizio giardini». A proposito di decoro, quanti sono gli addetti alla manutenzione del verde? «Undici giardinieri più due part-time. Venti anni fa erano 82, ridotti a 64 con l’apertura del parco di Monte Mario… Poi anche qui è arrivata la coop 29 giugno…».

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