Il risultato dei ballottaggi di domenica scorsa ha fatto saltare il coperchio dalla pentola ribollente del Partito Democratico. Sono in molti, adesso, a chiedere un cambio di rotta immediato, senza attendere il voto delle prossime europee che si terranno nella primavera del 2019. La poltrona del reggente Maurizio Martina traballa sotto l’urto delle varie componenti del Pd che puntano a “derenzizzare” il partito e che considerano un gravissimo pericolo per la sinistra italiana il perdurare di una stasi gestionale dovuta a veti e controveti tra renziani ed antirenziani.
In questo contesto, è normale che si cerchino e si propongano nomi per il nuovo corso che dovrebbe scaturire da un congresso che in molti vorrebbero che si svolgesse prima della fine del 2018. In rampa di lancio, almeno per ora, ci sono l’ex ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, con la sua proposta del “Fronte repubblicano”, il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, forte della sua capacità di aggregare tutte le forze della sinistra e lo stesso Martina, che in questi mesi è stato capace di mediare tra le varie anime del partito.
Certo è ancora presto per capire come il Pd saprà reagire alla profonda crisi che lo attanaglia, ma è altrettanto certo che i giochi per la nuova segreteria si sono già aperti e che Zingaretti appare in grado di poter puntare con una certa sicurezza alla guida del maggior partito della sinistra italiana. Il “governatore” del Lazio, infatti, è tra i pochi del Pd a poter affermare di non essere uscito con le ossa rotte dalle ultime consultazioni elettorali. A Roma, dove si è votato per il III e l’VIII Municipio, in precedenza a guida grillina, la coalizione di centrosinistra ha conquistato i due presidenti. Nei comuni della Provincia interessati dal ballottaggio, il Pd ha saputo confermare i suoi sindaci (di particolare importanza la vittoria di Esterino Montino a Fiumicino).
Per la base elettorale di centrosinistra, quindi, Zingaretti è un vincitore ed a lui guarda con fiducia per tentare di bloccare il declino e tornare ad essere tra i primi attori sulla scena politica italiana. Certo, se il “governatore” del Lazio dovesse approdare alla segreteria del Pd, per la Regione si aprirebbero nuovi scenari. E’ indubbio, infatti, che guidare un grande partito in fase di riorganizzazione mal si concilia con l’amministrazione del Lazio. Detto poi che, in seno al consiglio regionale, il centrosinistra non ha la maggioranza e quindi deve trattare sui singoli temi almeno con una parte delle opposizioni (in particolare con il M5S), sarebbe difficile mantenere questi delicati equilibri se il presidente della Regione è anche segretario del Pd, che in sede nazionale è all’opposizione del governo gialloverde.
Sarebbero quindi inevitabili le dimissioni di Zingaretti ed il ritorno alle urne degli elettori laziali. Come si vede, c’è un grande intreccio tra le sorti del Pd e la guida della Regione.