In Italia ci sono circa 1.800 consultori, ma non tutti si occupano di interruzione volontaria di gravidanza (Ivg). Tra i 1.535 consultori che offrono attività nell’area salute della donna, quelli che offrono attività sul percorso per l’aborto sono 1.295 (di cui 528 del Nord, 287 del Centro e 480 del Sud). In pratica il 71% del totale dei consultori presenti in Italia. È quanto emerge dall’Indagine nazionale sui consultori familiari 2018-2019 realizzata e presentata oggi dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss).
Nell’indagine si evidenzia, peraltro, come più del 90% dei consultori garantisca il certificato necessario per prenotare l’intervento, ma solo poco più della metà è in grado di fare la prenotazione dell’intervento presso un ospedale o clinica autorizzata.
“Indicatore – secondo l’Iss – di uno scarso collegamento e integrazione tra strutture”. Nell’indagine si sottolinea, tuttavia, come il ruolo dei consultori in questo ambito stia crescendo. Negli anni si è osservato, da un lato, un andamento in costante diminuzione del ricorso all’Ivg in Italia e, secondo l’Iss, “non è infondata l’ipotesi che la disponibilità dei consultori familiari e il loro impegno nella promozione della salute riproduttiva e sessuale rientrino tra i principali determinanti della imponente riduzione del ricorso all’aborto volontario registrata in Italia”.
Inoltre, quasi la metà dei documenti/certificati (44,2%) rilasciati in Italia nel 2019 per le 73.207 Ivg eseguite in quell’anno sono arrivati dai consultori, “valore in crescita negli anni e più alto rispetto alle altre strutture o professionisti abilitati al suo rilascio”. Le cittadine straniere si rivolgono più frequentemente al consultorio per il rilascio del documento/certificato rispetto alle italiane (55% nel 2019), “probabilmente facilitate dalla bassa soglia di accesso e dalla disponibilità del mediatore culturale più frequente rispetto ad altri servizi”.
I dati della sorveglianza mostrano una notevole variabilità nella percentuale di documenti/certificati erogati dai consultori nelle diverse Regioni (da 0,7% in Valle d’Aosta a 73,2% a Trento e 70,8% in Emilia-Romagna). “In generale si osservano percentuali inferiori al Sud del Paese”, riferisce l’indagine.